cinema


Cyrano mon amour


“Giusto alla fin della licenza io tocco!” Petillant, frizzante, spumeggiante, brillante. Non si è mai a corto di aggettivi quando si assiste ad un film, ad una commedia così leggiadra che fa trascorrere allo spettatore un paio d’ore di reale godimento. Parlo di “Cyrano mon amour” il film che Alexis Michailick trae da una sua pochade in cui ripercorre, anzi reinventa la storia della scrittura e della creazione del capolavoro teatrale di Edmond Rostand, “Cyrano de Bergerac”. Reiventa perché la chiave parodistica della piéce teatrale ora portata sullo schermo è la chiave di tutta l’opera. 

La vicenda è conosciuta. Negli anni Cyrano de Bergerac, lo spadaccino guascone dall’enorme naso, scrittore e poeta, l’uomo brutto ma capace d’amore, è stato interpretato da decine di grandi attori. Irresistibile con la spada in mano, l’uomo è disarmato di fronte all’amore: un amore candido e impossibile che nutre per la bella Rossana, sua cugina: ma una sera, dopo avere umiliato un attore che aveva osato levare gli occhi sulla bella fanciulla ed avere sconfitto in duello un gentiluomo che gli si era contrapposto (“ed alla fin della licenza io tocco!”) riceve un invito ad un incontro segreto dalla sua amata. È consapevole che il suo sogno d’amore potrebbe realizzarsi ma allo stesso tempo ne comprende le difficoltà. Anche perché lei ama un altro, un giovane cadetto, un bel ragazzo del quale si è invaghita a prima vista: Cristiano de Nevillette. Che è sì, bello, onesto e leale, ma non possiede alcuna delle doti capaci a stimolare l’amore, fatte di intelligenza e poesia come piace a Rossana.  Complice l’oscurità e un balcone. Cyrano prima si fa suggeritore di Cristiano, poi lui stesso si spaccia per l’amico. Cyrano e Cristiano finiranno insieme al fronte, con la loro compagnia di cadetti. Cyrano scrive tutti i giorni una lettera all’amata. Il finale dell’opera ha la cadenza della tragedia. Cristiano muore. Rossana, cui Cyrano non ha mai detto nulla, si ritira in convento. Molti anni dopo il guascone cade in un’imboscata mentre si reca al convento a trovare la cugina. Ferito gravemente riesce a non mancare all’appuntamento che era diventato lo scopo della sua vita. Invitato a leggere l’ultima lettera scritta come Cristiano, frastornato com’è, finisce per recitarla a memoria e Rossana se ne avvede. È Cyrano il vero protagonista dei suoi sogni, ma ormai Cyrano muore. 

 Cosa ha reso così brillante la trasposizione cinematografica dell’opera poetica di Rostand? Forse non c’è la possibilità concreta di descriverla, ma solo di adattarsi alla stessa finzione cinematografica. Che fa di Rostand un povero scribacchino in assenza di soldi e di ispirazione e che solo l’essere stato l’autore di un’opera recitata in teatro, in verità con non grande successo, dalla più celebre attrice della Belle époque Sarah Bernhardt, fa sì che un divo di successo, ma in un momento negativo della sua carriera, Monsieur Constant Coquelin, gli chieda di scrivere in tre settimane una commedia che lo veda protagonista. Rostand non ha la minima idea di come fare. L’ispirazione, la “musa”, ha il volto di Jeanne, costumista e amica di Léo, attore bello ma solo bello. A prestargli ciò che al giovane manca, l’eloquenza, ci pensa Edmond che avvia un fitto carteggio con Jeanne. Lettera dopo lettera, Edmond, troverà l’ispirazione per nutrire la pièce e inventare su sé stesso il guascone filosofo e spadaccino. La cui storia andrà in scena il 28 dicembre 1897 al Théatre de la Porte Saint Martin, il testo da allora più recitato del teatro francese. E allora cosa c’è di tanto brillante nell’opera di Alexis Michalik! Tutto, l’ambientazione, i personaggi, la parodia che il regista fa dello stesso poema teatrale di Rostand, pur rimanendo nel canone dell’opera originale. E’ stato il regista a confessare che l’ispirazione gli è venuta da un altro famosissimo film, quello “Shakespeare in Love” che reinterpretò in chiave pop l’autore di Romeo e Giulietta. Ma forse il maggior contributo a rendere l’opera di Michalik così godibile è la capacità tutta francese di autoironia, e di desacralizzazione dell’opera teatrale più nota di Edmond Rostand. 

Neri Paoloni