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Copia originale


La fortuna di avere a due passi da casa un cinema d’essai, ossia una ex sala parrocchiale che tuttavia programma, da una settimana all’altra, ottime pellicole, mi ha permesso di recuperare un piccolo film, passato velocemente nelle grandi sale. La pellicola in questione è “Copia Originale”. Racconta la storia vera di Lee Israel (Melissa Mc Carty), acclamata biografa, negli anni ’70-’80, di attrici, come Katherine Hepburn e Tallulah Bankead, o di donne di fama, ma finita “fuori mercato” dopo il flop della sua ultima biografia dedicata a Estée Lauder, la pioniera nel campo della cosmesi. Licenziata in tronco dalla casa editrice per la quale lavora per un bicchiere e un insulto di troppo, deve trovare in fretta il modo di sbarcare il lunario. Ha un affitto arretrato che non può pagare, il suo adorato gatto è gravemente ammalato, non ha un bell’aspetto e a cinquant’anni passati trovare un lavoro non è cosa semplice, la sua agente glielo dice esplicitamente. Lee deve arrangiarsi in qualche modo. Trova per caso in un libro di una biblioteca due lettere di Fanny Brice, notissima cantante e attrice dei primi anni del 1900 e ciò le suggerisce il modo di fare soldi.  Ottima biografa, si impadronisce delle lettere e le “arricchisce “di particolari “inediti”. Scopre così che questo materiale si vende benissimo e allora, seduta alla macchina da scrivere, si mette a comporre e a vendere “falsi d’autore”, in un mercato assai attivo nel campo. Arriva a dotarsi di macchine da scrivere di diversi modelli per potere imitare al meglio il lavoro dei personaggi dei quali falsificare lettere e documenti, e giunge fino a rubare carte autografe originali da archivi e biblioteche. Complice nel suo lavoro è un anziano inglese, un bohémien del Village, Jack Hock, (Richard E. Grant) che l’aiuta nella vendita dei falsi, presentandosi a compratori e case d’asta come l’irreprensibile erede di alcuni lasciti. Lentamente tuttavia il commercio mette in sospetto alcuni compratori e, entrata nel mirino della giustizia federale, Lee Israel venne condannata, nel giugno del 1993, a sei mesi di arresti domiciliari e a cinque anni di libertà vigilata, con l’assoluta proibizione di accedere a archivi e biblioteche oltre a sottoporsi a una terapia antialcolica.  Alla fine della pena Lee Israel riprende la carriera di biografa e nel 2008 pubblica “Can you ever forgive me?”, il memoriale da cui è stato tratto questo film, per la regia di Marielle Heller. Melissa McCarty e Richard E Grant sono perfetti nei panni di una coppia fuori dagli schemi, lei alcolizzata e autoironica, che non trova posto nella città che cambia, lui gay britannico fino al midollo (Richard E. Grant è attore inglese ben noto per la sua partecipazione alla serie televisiva del Dottor Who) qui forse al meglio di se stesso. Il film ha ottenuto molti riconoscimenti, tra cui la candidatura d di Melissa McCarty all’Oscar e al Golden Globe come attrice protagonista e di Richard E. Grant come miglior attore non protagonista. Forse meritava di più. Un piccolo grande film godibilissimo. Buona visione.

Neri Paoloni