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Quasi nemici


Può succedere di andare a vedere un film per una ragione qualsiasi. Perché è comoda la sala e l’orario o perché non si ha di meglio da fare. E poi scoprire un piccolo gioiello, non un capolavoro, per carità, ma una di quelle pellicole che qualcosa ti lasciano dentro. Il film in questione è il francese “Quasi nemici- L’importante è avere ragione”, titolazione italiana che vuole attirare lo spettatore con un richiamo ad altre pellicole.  Il titolo originale è semplice, ma scarsamente comprensibile se non dopo aver visto il film: “Le brio”. Perché quest’ opera di Yvan Attal è veramente condotta “con brio”, come in un brano musicale. 

La storia è incentrata su una coppia, lui autorevole professore di Diritto presso una università parigina, un borghese pomposo, apertamente reazionario e razzista, lei una sua allieva, proveniente dalla banlieue, una ragazza di origine magrebina, cresciuta a Créteil e iscritta all’università d’Assas-Paris II, prima università di studi giuridici francese. Il primo incontro fra Neila Salah (Camélia Jordana) e il professor Pierre Mazard è a dir poco disastroso. Lei arriva in ritardo nell’aula superaffollata in cui l’emerito ha cominciato la sua lezione di diritto e il professore, assai poco incline al politicamente corretto, l’aggredisce verbalmente, mettendo l’accento sulle origini etniche dell’allieva. L’umiliazione pubblica della ragazza provoca una denuncia sui social network da parte degli studenti. L’Università è costretta a deferire il professore al consiglio di disciplina. A meno che non riscatti le sue provocazioni diventando il tutore alla ragazza. Pierre Mazard (un grande Daniel Auteil) è così costretto a fare di Neila la candidata dell’Ateneo ad un prestigioso concorso di eloquenza che si tiene ogni anno tra le università francesi. Mazard si impegnerà a fondo, costringendo Neila ad affrontare una sfida apparentemente impossibile: impadronirsi della retorica, dell’arte dell’eloquenza e, in definitiva, della costruzione e la conquista del consenso. Ecco la ragione del sottotitolo italiano: “l’importante è avere ragione”, ma anche quella del titolo francese.

È con brio che professore e allieva si confrontano e si scontrano in un conflitto in cui uno dei due interlocutori deve avere sempre la meglio. La banlieusarde impara la tecnica, affronta i dibattiti nelle varie università di Francia, vince. Ma se le lezioni hanno portato l’allieva nella condizione di fare della sua Università la vincente, alla vigilia della prova finale l’allieva scopre qual è stata la vera ragione del suo indottrinamento nell’arte della retorica: il professore l’ha usata per evitare il giudizio della commissione, l’allontanamento dall’insegnamento, il discredito. Neila non si presenta alla prova finale che la porterebbe alla vittoria, e il professore si trova davanti alla commissione d’inchiesta. Ha fallito. Ma l’allieva ha imparato fino in fondo l’insegnamento. Si presenta lei stessa davanti alla commissione e ribalta “con le parole giuste” il giudizio sul prof. Mazard. Che tornerà alla sua cattedra, grazie a Neila, e lei sarà avvocato. Avendo perfettamente adattato a sé stessa la retorica del pomposo insegnante: “Giuro di dire la verità. Anche se per farlo dovessi mentire”. È il film, un gioco, un “divertissement”. Ma fino a quanto? Lo scontro tra “diversi”, in un Paese, la Francia, che ha cinque milioni di musulmani, si sta purtroppo diffondendo in tutta Europa e al momento nessuno sembra avere la ricetta per combattere il male. E se ricorressimo alla retorica, adoperando le parole giuste? Perché l’importante è avere ragione. 

Neri Paoloni