cinema


La ragazza nella nebbia


Potenza del passaparola. Amici mi avevano chiesto se avessi visto “la Ragazza nella nebbia”, un film di Donato Carrisi, autore di thriller di successo. Mi dissero che si trattava di un lavoro interessante, bello e inquietante. Mi ripromisi di andare a vederlo alla prima occasione. Poi è passato del tempo fino a quando “la Ragazza nella nebbia” non è comparso nella programmazione del cinema sotto casa. Allora perché non approfittarne. Visto. Devo aggiungere che subito dopo mi sono affrettato a comperare l’e-book dallo stesso titolo. E nella presentazione ho trovato la chiave del libro e del film. “La giustizia non interessa a nessuno. La gente vuole un mostro e io le do quello che vuole”. Sono le parole attribuite dall’autore all’agente speciale Vogel. “La notte in cui tutto cambia per sempre è una notte di ghiaccio e nebbia ad Avechot, un paese rintanato in una valle profonda fra le ombre delle Alpi. Forse è proprio a causa della nebbia se l’auto dell’agente speciale Vogel è finita in un fosso. Un banale incidente. Vogel è illeso, ma sotto shock. Non ricorda perché è lì e come ci è arrivato. Eppure una cosa è certa: l’agente speciale Vogel dovrebbe trovarsi da tutt’altra parte, lontano da Avechot. Infatti sono ormai passati due mesi da quando una ragazzina del paese è scomparsa nella nebbia, Due mesi da quando Vogel si è occupato di quello che, da semplice caso di allontanamento volontario, si è trasformato prima in un caso di rapimento e, da lì, in un colossale caso mediatico. Perché questa è la specialità di Vogel. Non gli interessa nulla del dna, non sa che farsene dei rilevamenti della scientifica, però in una cosa è insuperabile: manovrare i media.

 La chiave del film (e del libro) è tutta qui. Alla fine aveva poca importanza lo stesso assunto dal quale era partito l’autore, questo intreccio fra indagini e interrogatori più o meno scientificamente condotti, fra ingerenza ossessiva dei media, fra ambientazione claustrofobica in un paesino incastrato in una stretta valle alpina, isolato dal resto del mondo, in cui vive una popolazione chiusa in se stessa e nell’appartenenza ad una “congregazione”, una setta religiosa che rifiuta di fatto ogni idea moderna. Avevano poca importanza gli “indizi” veri o apparenti lasciati cadere dall’autore per dipanare l’intreccio.  E’ l’agente speciale Vogel, un Tony Servillo ancora più tenebroso del solito, a condurre il gioco fino ad essere egli stesso il gioco. La sua intera inchiesta, la ricerca della sedicenne Anna Lou, capelli rossi, lentiggini sulle guance, allontanatasi da casa in una sera di nebbia, un 23 dicembre, per “andare alla congregazione”, gli interrogatori degli attoniti genitori, con un chiaro rimando a personaggi di sette religiose della tradizione luterana, l’ombra del sospetto che Vogel lascia cadere sull’unico “straniero” del villaggio, l’insegnate di letteratura, il pacifico professor Martini, trasformandolo nel mostro di cui nutrire la stampa, spezzandone l’esistenza fino alla progressiva distruzione della sua famiglia, perché di tutti gli abitanti del villaggio è  il colpevole ideale da dare in pasto ai media, il pedofilo che sicuramente ha rapito la ragazza e l’ha certamente uccisa. 

E’ veramente il dimesso insegnate dalla barba incolta, Loris Martini (Alessio Boni) lo spietato killer, o è soltanto una vittima della macchina inquisitoria di Vogel? E quando viene completamente scagionato e l’inchiesta viene tolta all’agente speciale, reo di avere voluto forzare la mano agli eventi, è realmente l’innocente voluto forzatamente colpevole dall’investigatore, o non è forse quello che nella tradizione criminale anglosassone viene chiamato un “copy-cat”, un imitatore? Perché sono trent’anni, come rivela a Vogel una vecchia cronista locale semiparalizzata, che dalla valle scompaiono ragazze del tutto simili ad Anna Lou. E allora chi? E’ quello che cercherà di capire lo psichiatra, il dottor Flores un magistrale Jean Reno al quale l’agente Borghi, che aveva affiancato Vogel nell’investigazione pur non condividendone i metodi, affiderà l’apparentemente smarrito agente speciale dagli abiti insanguinati, ma non a causa dell’incidente. E allora, chi è il colpevole e perché alla fine sarà Vogel a venire arrestato? Non lo so, e se le ultime inquadrature danno la chiave di tutto, non mi interessa saperlo. 

Claustrofobico quanto basta, eccessivamente pieno di citazioni di altri film (la poliziotta locale l’agente Maier (Michela Cescon) è la copia esatta della poliziotta di “Fargo”), la “Ragazza nella nebbia” è comunque uno dei pochi film italiani ai quali si possa dare il nome di thriller. 

Neri Paoloni