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Dunkirk


Ad una prima impressione mi aveva alquanto deluso. Non perché il film di Christopher Nolan non sia, dal punto di vista cinematografico, più che valido. Ma perché tutta la storia, la storia del drammatico salvataggio di un intero esercito rimasto chiuso nella sacca della bassa spiaggia della cittadina francese di Dunkerque, mi era sembrata – così come veniva mostrata nel film – alquanto assurda. Conoscevo la vicenda, avevo sentito e letto le ragioni vere o presunte addotte per giustificare il fatto che le armate di Hitler avessero evitato di schiacciare su quelle spiagge i resti del corpo di spedizione britannico e parte dell’esercito francese. La narrazione cinematografica di Nolan mi era sembrata eccessivamente agiografica, malgrado le belle immagini girate con grande maestria. Mi sembrava che mancasse qualcosa. Mancavano i tedeschi, il nemico, mancavano i francesi, che avevano protetto fino all’ultimo la sacca di Dunkerque per permettere agli inglesi di salvarsi. Poi ho voluto documentarmi, leggere il libro sul film di Joshua Levine, “Dunkirk - La storia vera” e l’ottimo “Dunkerque” di Franco Cardini e Sergio Valzania. E allora ho capito che le parole con le quali l’autore britannico introduce alla lettura intervistando il regista sono la vera sintesi di ciò che Nolan ha voluto narrare. Non “un film di guerra”, ma una “storia di sopravvivenza”. Di soldati che, ammassati sulla spiaggia e sui pontili, cercavano disperatamente di tornare a casa, di evitare la morte. E insieme la storia della sopravvivenza di un Paese che cercò, riuscendoci, di trasformare una sconfitta, una ritirata, una battagli persa, in una specie di vittoria. Quei soldati una volta in patria furono accolti a braccia aperte dai loro compatrioti, perché anche nell’oltraggio subito dal loro esercito, gli inglesi dimostrarono la loro forza morale, il loro orgoglio. “To be proud to be british”: Orgogliosi di essere britannici. E se questo sentimento si è paradossalmente tradotto oggi in una confusa rivendicazione di autonomia nazionale che ha portato alla Brexit, tuttavia esso non va sottovalutato. Un film patriottico, dunque? Certamente sì, ma molto meno retorico dei film “patriottici” sulla seconda guerra mondiale e sulle altre guerre del dopoguerra combattute dagli americani e girati a Hollywood. Nolan usa le parole di Winston Churchill per sottolineare il significato del suo lavoro.

La Gran Bretagna, dopo Dunkerque, era con le spalle al muro. Se Hitler, anziché puntare su Parigi, avesse voluto sbarcare le sue armate sulle sguarnite coste britanniche avrebbe avuto via libera. Ma quella ritirata, l’operazione Dynamo, come fu chiamata e che ebbe luogo dal 26 maggio al 3 giugno del 1940, più che riportare al di là della Manica circa 240 mila soldati britannici e circa 115 mila soldati francesi, dette alla Gran Bretagna la possibilità di resistere negli anni bui dell’occupazione tedesca della Francia e di gran parte dell’Europa. Il film si chiude con le parole del discorso che il Primo ministro britannico tenne in Parlamento al termine dell’operazione di soccorso: “We shall fight on the beaches” Li combatteremo sulle spiagge. L’operazione Dynamo, Dunkirk, era una fuga era una sconfitta. Ma Il Regno Unito non si sarebbe arreso e avrebbe combattuto i tedeschi fino alla fine del regime nazista: Quel discorso, che tutti gli inglesi conoscono, Nolan lo fa leggere su un giornale da uno dei giovani soldati sopravvissuti sul treno che lo riporta a casa. Ne abbassa così il significato retorico ma ne aumenta il valore. “Non ci arrenderemo mai”.

La Gran Bretagna continuò a combattere, puntando sulla possibilità che alla fine un altro “popolo anglosassone” sarebbe venuto in suo aiuto, come nella Prima guerra mondiale. Una scommessa vincente, quando quattro anni dopo il 6 giugno del 1944 gli eserciti alleati -  britannici, americani, canadesi, ma anche francesi - sbarcarono a poca distanza dalle spiagge dalle quali erano fuggiti. La Gran Bretagna sopravvisse. La Francia invece dopo 20 giorni dall’evacuazione dovette cedere.  Come scrisse lo storico statunitense William Shirer “Dukerque fu la fine dell’inizio per gli inglesi; ma per i francesi fu l’inizio della fine”. Lo “spirito di Dunkerque” rivendicato dall’allora Primo Ministro anima ancora il popolo britannico. Oggi purtroppo viene gestito goffamente dai pallidi eredi di quello statista. Gli attori? Qui i nomi non hanno importanza. E’ un film corale e tutti, tutti sono all’altezza del loro compito.

Neri Paoloni