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Omicidi all’Acqua Pazza


Sono un lettore compulsivo di gialli, thriller, noir, chiamateli come volete. Ne mastico uno a settimana, inglese, scozzese, islandese, svedese, americano, norvegese, italiano. Ho la raccolta completa dei libri di P.D. James, quelli di Agata Christie li ho letti e riletti, ma avevo cominciato nei bei vecchi tempi con S.S. Van Dine ed Edgard Wallace. Per non parlare di Arthur Conan Doyle e Edgard Allan Poe.
Potrei recitare a memoria certi passaggi dei libri di Camilleri se sapessi parlare il siculo di Montalbano! Figuratevi la positiva sorpresa quando ho trovato in un vecchio compagno di giornalismo parlamentare, Umberto Cutolo, un raffinatissimo giallista. Raffinatissimo, per l'agilità del suo primo romanzo (ma ne promette già altri due) dal curioso titolo "Omicidio all'acqua pazza", raffinatissimo per l'ambientazione: la Costiera Amalfitana, anzi "La Costiera", come la chiamano tutti coloro che la frequentano e la amano. Io ero uno di questi. Per anni ho passato favolose vacanze estive in quel di Positano e, frequentando quasi quotidianamente una delle migliori trattorie locali, di "pezzonie all'acqua pazza", anch'esse protagoniste del romanzo, ne ho mangiate eccome.
Dunque, Cutolo giallista. Primo, l'ambiente. E' un Hotel arrampicato sullo sprofondo del più bel fiordo della Costiera. Furore. Se non ci siete mai stati, andateci. Vale la gita. Secondo, il protagonista: il cuoco dell'albergo e per favore non chiamatelo chef. Perché con la vocazione di cuoco ha poco a che fare mentre ha l'indagine poliziesca nel sangue: un Poirot campano. Chi non ce l'ha, l'indagine nel sangue, è il poliziotto, un maresciallo dei carabinieri che starebbe volentieri a spadellare in cucina e sarebbe sicuramente più bravo dell'altro. Su questo scambio di ruoli, tra Omero Sgueglia, "cuoco (non chef) del ristorante sulla terrazza dell'Hotel Furore", e Salvatore Di Salvo, "maresciallo dei carabinieri e amante della buona cucina" (come è indicato nell'utile elenco dei personaggi che precede il romanzo) è giocato il thriller dove ci sono almeno due cadaveri, morti ammazzati o forse no, e dove ruotano attorno all'investigazione e ai pranzi serviti da Omero e dai suoi collaboratori personaggi stravaganti ma credibilissimi, ospiti dell'albergo, clienti di passaggio, investigatori vari, perfino un "profiler" del nord Italia che ovviamente capisce di investigazione come di cavoli a merenda, prevenuto com'è contro l' "extracomunitario", Samir immigrato clandestino che voleva andare in Germania ma che per uno sciopero dei treni è finito lì dove fa il posteggiatore delle auto dei clienti dell'albergo. C'è anche Margherituccia, "vecchia contadina un po' fuori di testa" e forse anche strega, che rievoca il fantasma di Abu Tabela. Personaggio vero: leggere il libro per scoprire chi era. L' "acqua pazza", è un modo molto sorrentino/amalfitano/napoletano/ ecc. ecc. di cucinare un buon sarago, un'orata ed anche una pezzonia, pesce oggi alla moda.
Perché è grazie ad alcuni piatti di questa prelibata pietanza che gli investigatori, pardon, Omero sarà messo sulla strada di scoprire l'assassino, salvando Salvatore da una figuraccia con il capitano Amilcare Ferretti, suo superiore, "votato più alle pubbliche relazioni che alle indagini", come lo descrive l'autore. Tornerà il capitano nel prossimo libro di quella che diventerà una serie: "I delitti della Costiera", così come tornerà Irina, bellissima escort russa, capitata per caso nell'alberghetto, che ti fa capire come Omero s'intenda poco di cucina, molto di delitti, ma assolutamente niente di donne.
Basta. Cosa devo ancora dire? Che il libro mi ha fatto venire la voglia, non solo di leggere quelli che Umberto ci vorrà dare, ma di tornare in Costiera, rivedere i cancelletti sul nulla (le case stanno sotto) che si aprono sui muretti di quella strada bellissima e tormentata. E purtroppo assediata ormai dal turismo di massa distruggi tutto che Cutolo dimostra di non amare. Non so se lo potrò fare e sarà un peccato. Perchè non assaggerò più le pezzonie all'acqua pazza o i pesci sciabola allo scapece di Giosuè, lì a Punta Campanella, davanti a quel mare meraviglioso che abbiamo soltanto noi, altro che Maldive, gustandomi un limoncello vero, fatto in casa e non a Brembate di Sopra.

Neri Paoloni