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La battaglia sulla montagna di Dio


I Briganti del Riff? Le Tigri di Mompracem? Emilio Salgari? No, Giulio Castelli, un collega. Nel risvolto di copertina del suo ultimo libro, "La battaglia sulla montagna di Dio" (Newton Compton editori) è indicato come narratore e saggista, oltre che come giornalista professionista e come studioso di storia tardo antica e medievale. Ha dedicato la sua attenzione, in particolare, al crepuscolo dell'Impero romano.
Ma questo suo ultimo lavoro si discosta notevolmente dai suoi scritti precedenti. In primo luogo per lo stile della narrazione. Uno stile che ricorda, appunto, i libri di avventure di quel grande scrittore veronese che è stato Emilio Salgari. E' lo stesso autore a sottolinearlo, nella premessa. Il libro infatti non è altro (o almeno così Castelli sostiene) che il frutto dei racconti di un suo lontano cugino, Elio Dossi, morto nel 1961.
"Nel romanzo, scrive Castelli, è lui comunque a parlare al lettore esattamente come faceva con me. Quindi mi scuso se troverà il linguaggio un po' antiquato. Era quello dell'inizio del secolo scorso". Alla faccia dell'antiquato. Castelli ha il grande dono di avvincere il lettore e di impedirgli di lasciare il libro prima di aver letto l'ultima riga. E poi la storia che narra, che attraverso lui narra suo zio, è di un'attualità impressionante, anche se i fatti risalgono agli anni a cavallo della fine del XIX secolo e gli inizi del XX. Perché racconta di un viaggio, la spedizione di un gruppo di occidentali in quello che era allora l'Impero Ottomano. Quell'Impero che finì i suoi giorni con la Prima Guerra Mondiale e che, grazie all' accordo anglo-francese del 1916, conosciuto come accordo Sykes-Picot sulla spartizione dei territori dell'Impero in Asia Minore, dette vita al verminaio di stati, come la Siria, il Libano, l'Iraq, l'Iran, l'Egitto, e la stessa Arabia Saudita, oltre alla moderna Turchia, che sono ancora oggi terreno di guerre senza fine e di un terrorismo islamista che stanno coinvolgendo tutti i Paesi Occidentali e l'altro ex grande Impero, la Russia.
Il viaggio che a partire dal 1898, compie Elio Dossi è l'odissea di un gruppo di occidentali alla volta dell'Armenia. Lo scopo del capo della spedizione, un sedicente archeologo inglese, è quello di recuperare l'Arca di Noè, che secondo alcune interpretazioni bibliche dovrebbe essere sepolta tra i ghiacci del Monte Ararat. Il viaggio, raggiunta Costantinopoli a bordo del favoloso Orient Express fino al capolinea della stazione di Sirkeci, ancora nella Costantinopoli europea, si dipana lungo l'Anatolia, alla volta dell'Armenia e del Monte Ararat, in quella che era allora una regione remota dell'Impero Ottomano. I nove membri della spedizione, guidata dall'inglese Sir Cedric, si troveranno coinvolti nei primi episodi di quello che solo pochi anni dopo sarà uno dei più terribili genocidi della storia, quello del popolo armeno. I personaggi descritti da Castelli non hanno nulla da invidiare dalle figure della narrazione salgariana. Con l'aggiunta, da parte dell'Autore, di una perfetta conoscenza dei luoghi e della vicenda storica collegata alla sorte del popolo armeno e della Turchia che sarebbe nata pochi anni dopo. L'affresco che ne scaturisce, costellato da memorabili personaggi come i membri della spedizione, tutti con qualche segreto da nascondere, è in grado di lasciare nella memoria del lettore la vivida sensazione di conoscere a fondo il freddo capitano ottomano Nemir, che sogna un impero etnicamente pulito anticipando il movimento post-bellico dei "giovani turchi", il colosso armeno Aganesian, pronto a morire in difesa del suo popolo, il colto dottor Katurian e sua figlia Helena. Ma sarà la vicenda della ricerca dell'Arca, un pretesto nella lotta tutta europea tra la Germania e la Gran Bretagna per il controllo dell'Asia Minore, e la battaglia finale sulla Montagna di Dio, il monte Ararat, appunto, tra i membri della spedizione i loro alleati armeni e le bande di musulmani e degli scherani del sultano Abdul Hamid, a dare un contenuto epico al racconto. Buona lettura.

 n. p.