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Domani verranno l’areoplani


Cartoline, cartoline postali, lettere scritte con mano malferma. Profumo di un passato che abbiamo completamente dimenticato. Linguaggio semplice, popolare, anch’esso dimenticato. Si chiedono notizie, come stai, io sto bene e così spero di voi tutti. Ti ho mandato un pacco.  Il giorno dei Morti anche a Torino si usa recarsi al cimitero? Perché per chi scrive, dalla Puglia, da Torremaggiore, Torino è terra lontana. Quasi come l’America, dove pure si trasferisce qualcuno della famiglia. E le cartoline e le lettere sono affrancate con francobolli per noi ormai solo da collezione, al prezzo di 20 centesimi, 10 centesimi. Di lire, delle nostre vecchie lirette.
E’ la corrispondenza “di un secolo fa o giù di lì”, cui dà voce l’Autore di questo libretto e la ragione del titolo la vedremo poi. Anzi del tra-scrittore, come si definisce Antonio De Vito, che ha ritrovato la corrispondenza familiare, torinese e pugliese, figlio di emigranti quando erano gli italiani ad emigrare e se non era Torino era l’America, dove andrà Filomena, una cugina, dovunque si trovasse quel lavoro che nella regione d’origine, la Puglia, era ancora e ancora il lavoro faticato delle campagne, le semine e i raccolti e quando la stagione andava bene, bene, quando andava male era male per tutti. Giuseppe De Vito emigra a Torino dopo circa dieci anni di confino di Polizia a Ustica e a Ponza dove era stato mandato per essere considerato un pericoloso antifascista (vedi in proposito “Il sovversivo col farfallino” dello stesso autore). Emigra a Torino e cerca casa, perché sta per sposarsi e la sua fidanzata Maria Cipriano, è ancora al paese, a Torremaggiore, in provincia di Foggia. E deve trovare casa, impresa non facile. Anche per “i fitti favolosi”.
Eppure era il 1937, non erano ancora gli anni del dopoguerra e del primo “miracolo economico” italiano quando la Fiat assumeva e gli operai si trasferivano a Torino con la valigia di cartone, ma nelle case spesso compariva un cartello “non si affitta ai meridionali”. Oggi i nuovi meridionali sono gli extracomunitari, ma anche per Giuseppe De Vito trovare casa non fu facile. Fino a quando alla vigilia di Natale del 1937 Peppino, come veniva chiamato in famiglia, può comunicare alla fidanzata Maria dalla “fredda” Torino: “Mio Amore” l’alloggio è trovato al prezzo di 385 lire”. Da allora la corrispondenza con i parenti, la madre, le sorelle, i cugini è fittissima, anche se spesso ci si lamenta reciprocamente per i lunghi periodi di silenzio. E sono sempre notizie in cui ci ragguaglia sulla salute, prima di tutto, sulle vicende familiari e sugli affari di famiglia, sui raccolti e sui rapporti con, anche allora, una burocrazia soffocante. Con qualche annotazione curiosa.
Come quando Angelina, sorella di Peppino, scrive alla cognata Maria che “Enza si è fidanzata con un foggiano, ma noi per bocca loro non abbiamo saputo niente per mezzo degl’altri”. Un foggiano? Straniero! Mentre a Torino nasce Antonio, ossia il nostro autore, la sorella di Peppino, Angelina, si preoccupa di fare arrivare alla famigliola “due bottiglie di mosto cotto” che certamente dovevano essere una rarità prelibata. Alla fine, siamo nel 1939, cominciano a girare voci di guerra, gli aerei fanno già le prove, visto che a Foggia c’è un importante aeroporto militare. Così nell’aprile del 1939 la mamma scrive alla nuora, a Torino, che “da noi hanno chiamato fino alla classe del 1904” e che “domani, sabato, alle ore 18, verranno l’areoplani a fare le prove, e da voi sono venuto? Può darsi che girando girando, deve venire davvero la guerra. Speriamo a quella Vergine della Fontana, che non fosse niente se no sono guai per tutti”. E così fu.

n. p.