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Spotlight: un Oscar meritato


“Il caso  Spotlight” ha vinto l’Oscar 2016 per il miglior film e per la miglior sceneggiatura originale. Uno “spot light nel linguaggio cinematografico e teatrale è il faretto orientabile che viene puntato su un determinato personaggio o scena.  Ma nel linguaggio giornalistico ciò che è inquadrato nella luce di uno “spotlight” è un personaggio o un fatto messo alla ribalta, buona o cattiva che sia. Tra il 2001 e il 2002 una squadra di giornalisti investigativi del Boston Globe, principale quotidiano della capitale del Massachussets, negli USA, portò alla luce lo scandalo dei preti pedofili. L’inchiesta individuò 249 sacerdoti, in quella sola città, responsabili di abusi sessuali su minori. Il “team”, noto nel giornale come il gruppo  “Spothligt”, nel corso delle indagini, riuscì a coinvolgere nell’inchiesta oltre settanta religiosi. Le conseguenze dello scandalo furono le dimissioni e quindi il richiamo a Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, del potentissimo arcivescovo della città, il cardinale Bernard Law, ( poi rimosso  e “pensionato” da Papa Francesco) e l’assegnazione del Premio Pulitzer al leader del gruppo, Walter “Robby” Robinson. Il film ripercorre, in maniera cronachistica, le tappe dell’inchiesta, da quando l nuovo direttore del quotidiano, Marty Borman, venuto da Miami e con la fama di “Tagliatore di teste”, mette sotto pressione il team per investigare a fondo su una notizia relativa ad un prete cattolico accusato di atti di pedofilia sui suoi parrocchiani, protrattisi per molti anni. A Borman non basta incastrare il sacerdote in questione, vuole che si scopra chi l’ha coperto e protetto in tutti quegli anni e fino a che punto la Chiesa Cattolica di Boston sia stata coinvolta nell’insabbiamento di casi di cui, peraltro, doveva essere a conoscenza.
Il regista, Tom McCarty, ha scelto la via del racconto sobrio, analitico. Come nell’altra grande storia di  giornalismo investigativo portata sulla schermo, lo scandalo Watergate, il film si svolge tra le scrivanie del giornale e i passi dei redattori del team, alla ricerca di testimoni e vittime in grado di raccontare e denunciare la palude umana in cui la Chiesa Cattolica della cattolicissima Boston era finita.  Lo spettatore è chiamato a seguire passo passo la paziente ricerca dei quattro redattori del “Globe”, il capo del “team”, Walter “Robby” Robinson (l’attore Michael Keaton), Michael Rezendes (Marc Ruffallo), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) e Matty Carrol (Brian d’Arcy James), una ricerca che diviene metodo scientifico, quando, procedendo nelle indagini una “gola profonda” rivelerà loro che la Chiesa di Boston ben a conoscenza dei fatti, si  era limitata a “rimuovere” i preti pedofili spostandoli da una parrocchia ad un’altra o dichiarandoli “ammalati” o pensionati. E che il numero di religiosi coinvolti non  era limitato alla dozzina già individuata dai giornalisti, ma ammontava ad almeno 90 sacerdoti. Un avvocato, all’inizio reticente, rivela loro anche come la Chiesa abbia messo a tacere gli scandali, raggiungendo un accordo extra giudiziario compensando le vittime con una “generosa” somma, 20 mila dollari (meno la percentuale per lo stesso legale) in cambio del silenzio.
Un sistema che funzionava facilmente essendo la maggior parte delle giovani vittime appartenenti a famiglie non agiate se non addirittura indigenti. Di fronte all’avanzare dell’inchiesta tutta la Boston cattolica fa muro per evitare che il giornale la renda pubblica e si scaglia contro il “Globe”, il suo nuovo direttore (Baron è ebreo) e cercando soprattutto di fare leva sull’appartenenza alla Chiesa Cattolica e all’upper class bostoniana dello stesso Robby Robinson perché le indagini cessino. Ma ciò che forse è possibile altrove non è possibile negli USA. “E’ la stampa bellezza,la stampa! e tu non puoi far niente! Niente!) come dice Humphrey Bogart al mafioso Rienzi nel film “l’Ultima minaccia” o “Deadline”).  I giornalisti di “Spotlight”, incappando nelle vicende di un solo sacerdote, non possono né fermarsi né essere fermati. Fino a giungere alla più scomoda delle rivelazioni.  “Fino a che punto la Chiesa era al corrente?
Questo è il film che ha vinto l’Oscar. Un’indagine, un’inchiesta come tante, seguita come un racconto sobrio, didascalico, che cerca di evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo. Eppure il film non può lasciare indifferenti. Sembra quasi uno scherzo del destino o un disegno superiore il fatto che mentre a Hollywood “Spotlight” riceveva il massimo premio cinematografico, a Roma il cardinale australiano George Pell fosse costretto a recitare uno sconvolgente “mea culpa”: “Non sono qui –ha detto -a  difendere l’indifendibile. La Chiesa cattolica ha commesso errori enormi sulla pedofilia, ma sta lavorando per rimediare. Ha causato gravi danni in molti luoghi e ha deluso i fedeli”.  Non sembra che Papa Francesco sia più disposto a tollerare che la Chiesa di Roma preferisca proteggere dalla vergogna l’istituzione e non le vittime abusate. Forse il giornalismo d’inchiesta ha ancora qualcosa da dare. Negli USA e altrove.

Neri Paoloni