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Suburra – Molto bello, forse un capolavoro


Bello, molto bello. Forse un capolavoro. Suburra, perché di questo film voglio parlare, è certamente un film “da vedere”. Non tanto per  la trama, il romanzo criminale che esso racconta, quanto per essere uscito sugli schermi proprio in questi giorni, in cui le dimissioni del sindaco della Capitale, Ignazio Marino, e l’apertura del processo “mafia Capitale”, sembrano essere nient’altro che lo sviluppo nel mondo reale della vicenda raccontata nel film.
E non deve essere un caso se il dimissionario sindaco, accompagnato dal suoi vice, Causi, sia andato a vederlo il 14 ottobre,  primo giorno della sua uscita nelle sale romane.  Perché bello? Perché narra una storia tanto reale da poter confrontare perfettamente i personaggi dello schermo con quelli della vita vera. La storia di “Suburra” , il film, comincia sette giorni prima del 12 novembre 2011, giorno dell’Apocalisse. Ossia delle dimissioni da Presidente del Consiglio di Silvio Berlusconi. Dimissioni date, come tutti ricorderanno, a seguito di forti pressioni internazionali per la crisi economica in cui stava precipitando il Paese rischiando conseguenze gravissime per tutta l’Europa.  Fu chiamato a gran voce al Quirinale, da Giorgio Napolitano, un tecnico di grande preparazione e serietà, Mario Monti.
Ed oggi c’è chi parla di colpo di Stato! Ma torniamo al film. In quei sette giorni prima dell’Apocalisse, a Roma accade di tutto. In Vaticano il papa Ratzinger si accinge alle dimissioni, in Parlamento lo scontro fra la maggioranza di destra e la sinistra è al culmine. Sono le avvisaglie della crisi incombente. Un deputato della maggioranza, Filippo Malgradi, avverte casa: torno tardi ho lavoro in commissione. In realtà si accinge a passare la notte in uno dei più lussuosi alberghi della città con due escort, una delle quali minorenne. Che muore di overdose e Malgradi, per uscirne pulito, lascia che l’altra ragazza interpelli un balordo per sbarazzarsi senza danni del cadavere. Questo è l’inizio. Perché da questo punto in avanti lascio parlare il film: prima di tutto la fotografia.
La Roma di Paolo Carnera è cupa, piove insistentemente per quasi tutto il tempo e le rare schiarite hanno il colore del sangue. I personaggi che la percorrono, deputati, prelati, spacciatori, zingari, criminali di mezza tacca ma non per questo meno orribili nella loro spietatezza, sono purtroppo lo specchio di ciò che è accaduto sotto i nostri occhi, forse troppo indifferenti. Malgradi è un politico corrotto e dissipato e ne abbiamo conosciuti (l’episodio del festino nel grande albergo ricorda nulla?). La Roma notturna che attraversa, la piazza del Popolo sulla quale si affaccia il balcone dell’albergo dal quale questo lurido personaggio piscia sulla città è buia, sotto la pioggia incessante. Il teppista che aiuta l’escort a sbarazzarsi del cadavere della sua amica è fratello di un capo-clan di una famiglia di zingari, talmente simile ai Casamonica da aver casa (la location) in una delle loro case messe sotto sequestro. Il  teppista riconosce Malgradi e cerca di ricattarlo e Malgradi che fa? Interpella un suo compagno di partito che mette la cosa in mano a Samurai, uno già della “Banda della Magliana”che è l’immagine speculare del Cecato, quel Carminati ora al centro di “Mafia Capitale”. Samurai promette a Malgradi di toglierlo d’impiccio, a patto che faccia passare in Parlamento la legge che permetterà alla mala romana di mettere le mani sull’affare del secolo, una speculazione edilizia nella periferia romana che potrebbe trasformare Ostia in una nuova Las Vegas. Ma qui opera un cane sciolto della periferia, uno spacciatore che ha “ereditato”dal padre  Ostia  e che cerca di fare un salto di qualità.
Numero Otto, è il suo nome, e la sua donna è una tossica, Viola. Solo che sarà lui a far fuori il balordo ricattatore, fratello del capo-clan zingaro spietato assassino, Manfredi Anacleti. Naturalmente tutti i personaggi sono destinati ad incrociarsi, compreso il monsignore che ha appreso delle imminenti dimissioni del papa e che a sua volta era coinvolto nella speculazione. Non c’è da raccontare altro. Il film è da vedere. Assolutamente. La bravura del regista, Stefano Sollima, figlio di Sergio, di Pier Francesco Favino, nei panni del parlamentare disposto a tutto (si veda la scena finale quando, a un passo dalla fine,  rincorre a piedi l’auto di Berlusconi), di Claudio Amendola nel ruolo di Samurai, di Elio Germano, nei panni del viscido creatore di eventi, fratello dell’escort sopravvissuta, di Alessandro Borghi, potente Numero 8 dal cranio rasato e coperto di tatuaggi, di Giulia Elettra Giorietti, fragile escort corrotta fino al midollo e di Greta Scarano, la tossica nelle cui mani sarà la sorte finale della vicenda. Una recitazione eccelsa,  comprese le comparse. Ottimo cinema, sgradevole cinema, ma ricordate Tarantino e il suo capolavoro “Pulp Fiction?”. “Suburra”, pur senza i suoi ritmi,  ci si avvicina. Molto.

Neri Paoloni