cinema


Youth – La giovinezza


La storia la conoscete tutti. Youth, l’ultimo film di Sorrentino, è stato presentato a Cannes, sembrava candidato a chissà quanti premi, invece niente. Il regista napoletano è uscito dal festival a mani vuote, così come a mani vuote sono usciti Moretti e Garrone. “Poco innovativi”: questo il giudizio (ufficialmente inespresso) della giuria internazionale presieduta dai fratelli Coen. Peccato. Non ho visto “Dheepan”, il film francese premiato con la Palma d’oro. Quando verrà presentato nelle sale italiane, mi farò un dovere. Dicono che sia stato il film più completo. Può darsi. Intanto accontentiamoci di quello che abbiamo. Ho visto “Mia Madre” e l’ho trovato bello e commovente. L’immaginifico film di Garrone, splendido per i costumi e l’ambientazione, belle le favole tratte da “lo Cunto di li cunti” di Giovanbattista Basile, mi ha lasciato freddo. Troppa carne al fuoco. Youth, invece mi ha lasciato perplesso. Forse è una di quelle opere che vanno viste più volte, per potere apprezzarle in pieno. Cercherò di spiegare perché.
La trama è nota: Fred e Mick trascorrono insieme, come fanno da anni, una vacanza in un albergo nelle Alpi svizzere, con adeguate attrezzature termali. Sono entrambi sugli ottant’anni. Il primo è un noto compositore e direttore d’orchestra, ormai ritiratosi. Mick invece è un regista ancora attivo che ha riunito nell’albergo montano i suoi collaboratori per dar vita a quello che ritiene essere il suo possibile capolavoro, il suo testamento spirituale. Fred, suddito britannico e insignito del titolo di baronetto, viene raggiunto da un inviato della Regina Elisabetta perché tenga un concerto a Londra alla presenza di Sua Maestà, in occasione del compleanno del consorte, il Principe Filippo. Fred rifiuta. Ha deciso che non dirigerà più, e non intende tornare sui suoi passi. Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel) sanno entrambi che il tempo non è più dalla loro parte, con la differenza che Fred  sembra essersi arreso e Mick no. Su questa diversa visione del loro futuro si dipana il film, in una serie di bozzetti e di dialoghi tra i due protagonisti, tutti con lo stesso intento: possono due persone giunte alla fine  del loro percorso guardare ancora avanti? Affrontare la loro vecchiaia come se ancora il tempo fosse dalla loro parte? C’è una scena che spiega la loro condizione: E’ quando, immersi nella piscina dell’albergo, guardano scendere in acqua, completamente nuda, la bellissima Madalina Ghenea, Miss Universo. Nel loro sguardo c’è la loro condizione: la visione di questa donna bellissima è puro godimento, senza nessuna brama. La loro vita è fatta ormai principalmente di ricordi. Ne parlano, così come parlano della loro prostata. Fred non ha smesso di dirigere un’orchestra. Anche se si tratta dei campanacci delle mucche al pascolo. Mick conta sulla partecipazione al suo film di una sua vecchia grande attrice (una irriconoscibile Jane Fonda) che gli si rifiuta: preferisce ormai le serie televisive. Il vecchio regista non resisterà al diniego. Sa che senza la presenza dell’attrice il film non si farà. Non c’è più un futuro per lui.
Fred invece accetterà di dirigere un’ultima volta un’orchestra davanti alla Regina, lasciando che una cantante famosissima, canti quelle “arie facili” che aveva scritto esclusivamente per la moglie. Che non è morta come tutti credono, compresa la figlia, ma è una demente relegata in una clinica a Venezia.
Fred e Mick non hanno futuro: la giovinezza è alle loro spalle. I due amici reagiscono diversamente a questa ineluttabile costatazione. Ma entrambi lasciano un’eredità sublime. La loro arte. Alla fine mi sono accorto che Sorrentino è, come lo era Fellini al quale si richiama, un agente provocatore. Ha nascosto la luna della giovinezza, quella dell’intelligenza, che non scompare con gli anni, dietro il dito delle immagini. E io, a ottant’anni suonati come Fred e Mick, ci sono cascato. Dimenticavo: tanto di cappello ad un magistrale ottantaduenne Michael Caine.

Neri Paoloni