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Mia Madre: dalla vita un bel film


Di solito diffido dei commenti elogiativi della critica nostrana a prodotti della cinematografia nazionale. Mi sembra sempre che ci sia qualcosa di forzato. Figuratevi, quindi, cosa ho provato quando è stato presentato con gran rilievo in televisione, alla radio, sulla stampa, l’ultimo lavoro di Nanni Moretti, il suo dodicesimo film: Mia Madre”. Moretti è per molti un mostro sacro, un regista da una parte della critica lodato “a prescindere”, sia per le sue posizioni politiche sia per il fatto che è uno dei pochi che emerge dalla mediocrità. Uno, insomma, che fa parlare di sé. Per evitare ogni equivoco su miei eventuali pregiudizi, dico subito che se Moretti smettesse di considerarsi anche un attore, farebbe benissimo. Anche se i film di Moretti senza Moretti sarebbero tutt’un’altra cosa. Dunque, appena uscito sugli schermi “Mia Madre” mi sono sentito in obbligo di andarlo a vedere.
Per non lasciarvi nel dubbio, dirò subito che il film mi è piaciuto. Cercherò di spiegare perché. La trama è abbastanza lineare. Margherita (Margherita Buy) regista all’apice della carriera (di fatto alter ego dello stesso Moretti) sta girando un film molto impegnato sulla crisi economica italiana, lo scontro tra gli operai di una fabbrica d’eccellenza passata nelle mani di un nuovo proprietario americano che promette fin da subito tagli e licenziamenti. Gli operai scendono in sciopero e occupano la fabbrica. Scene di scontri con la polizia. Arriva il rappresentante della nuova proprietà e la prima cosa che dice è che gli operai devono cessare l’occupazione altrimenti di trattative nemmeno si parla.
Fin qui tutto normale. Margherita sta girando il film che potrebbe segnare un passo avanti nella sua carriera. Per questo ha scritturato un attore italo americano (John Turturro), Barry Huggins un “divo”  a livello internazionale un po’ in crisi, scarsamente a suo agio con l’improvvisazione e il provincialismo del cinema italiano, ma che spera in una rimonta grazie alla fama internazionale della regista. Tuttavia Margherita non è solo una regista famosa. E’ anche una madre, una moglie (separata), un’ amante, una sorella, una figlia. Di Ada. Che sta morendo.
E’ subito chiaro che al centro dei suoi pensieri non è il “suo” film, ma il rapporto con la madre. Un rapporto che giunge fino alla negazione, contro tutte le apparenze e le previsioni dei medici, dell’ineluttabilità dell’evento. E’ su questo duplice rapporto: realtà della vita e ineluttabilità della morte, che Moretti gioca il meglio delle sue carte. Mettendo se stesso, ossia il Nanni Moretti attore nel ruolo secondario del fratello, Giovanni, un ingegnere piccolo borghese, stimato nel suo lavoro, che rischia di perdere mettendosi in aspettativa , per stare accanto alla madre, ricoverata in clinica e senza speranza di uscirne. Mettendo  al centro della scena la figura di Margherita, che nega la stessa possibilità che la madre, un tempo apprezzata insegnate di latino e greco, possa sparire dalla sua vita. Naturalmente il film finisce come deve. La madre muore mentre Margherita è al lavoro. Che non lascia per correre al capezzale di Ada, se non dopo l’ultimo ciack.
Dove, dunque,  un film dalla trama scontata è un bel film? Nei personaggi, che Moretti, fa muovere attorno alla spaesata, straniata figura della regista. Una dolente figlia, che non sa rinunciare né al suo lavoro né al rapporto con la madre, interpretata da una bravissima Giulia Lazzarini, un’attrice vera, vecchia scuola, magari avercene. Che riesce a non angosciarci troppo nel suo viaggio verso la morte, anzi a darci un buon esempio di come si possa rimanere sereni, quando, riportata ormai a casa, dà ripetizioni di latino alla svogliatissima nipote, Livia, (la giovane acerba Beatrice Mancini) e anche una lezione di vita: “Non ti fermare al primo significato di un verbo che trovi sul vocabolario” E Turturro? Nel film è la “controparte”. Non solo perché è l’interprete del padrone alla Marchionne, ma perché è quanto di meno irreale in tutta l’opera. Fino alla scena magistrale del ballo tra lui e una grassa signora della troupe, durante una festa in occasione del suo compleanno. Una scena dal sapore felliniano che sta a “Mia Madre” come la partita di pallone tra i cardinali in Habemus Papam. Moretti ancora una volta si serve della sua stessa vita (la madre morì mentre stava girando quel film) per darci un buon film. Meglio così.

Neri Paoloni