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La Spia – A Most Wanted Man


Sono un appassionato lettore dei libri di Le Carré da quando, molti anni fa, ebbi in mano “La Talpa”. Un maestro ineguagliato, a mio avviso, nel raccontare le vicende dello spionaggio internazionale durante la guerra fredda. Il cinema e la televisione hanno reso omaggio più volte a quest’autore,  che aveva ricavato le trame dei suoi romanzi dalla sua stessa partecipazione ai servizi segreti britannici. E la splendida interpretazione  che Alec Guinness dette di George Smiley, l’antieroe borghese che ha l’incarico di svelare il nome dell’agente doppiogiochista  infiltrato dal KGB  nel MI6 britannico, nella serie televisiva prodotta dalla BBC, rimane indimenticabile.
La caduta del muro di Berlino aveva costretto Le Carrè a dedicare una diversa attenzione alle vicende dello spionaggio internazionale e libri come “Il Sarto di Panama” o “Il giardiniere tenace” mi avevano lasciato alquanto freddo.  L’undici settembre e la sempre incombente minaccia del terrorismo ad opera del fanatismo islamico ha riportato l’autore britannico alla narrazione appassionata e coinvolgente dei primi romanzi. E’ il caso  “The Most Wanted Man”,  uscito in Italia nel 2008 con il titolo “Yssa il Buono”, dal nome del presunto terrorista personaggio chiave del libro.  Non poteva mancare la sua trasposizione nel film, uscito il 30 ottobre, che vede come protagonista  per l’ultima volta  un grande Philip Seymour Hoffman, l’attore americano che all’età di soli 46 anni è stato trovato morto nel suo appartamento di New York a causa di un’overdose di stupefacenti.
Se il ritorno di Le Carrè al filone dello spionaggio  è perfettamente realizzato nel libro, l’interpretazione di Philip Seymour Hoffman del solitario agente  di un ultrasegreto servizio tedesco, Gunther Bachmann è straordinaria, tanto da fare rimpiangere la scomparsa di un attore che aveva avuto un meritato premio Oscar per il personaggio di Truman Capote nel film omonimo.
Il parallelo tra Bachmann e Smiley è evidente. Come la spia inglese era un solitario nel suo stesso ambiente, un uomo in grigio, un fuori casta, così Gunther  agente di un servizio antispionaggio “parallelo” , è un cinico rottame con il vizio dell’alcol e alle spalle un pesante fallimento, al quale viene affidato l’incarico di scoprire l’identità vera di un povero diavolo giunto clandestinamente ad Amburgo. Il suo nome è Ivan Karpov, padre russo e madre cecena, che ha adottato il nome musulmano di Issa. Compito di Bachman e della sua piccola squadra di specialisti è scoprire se Issa è un innocente coinvolto in una storia più grande di lui oppure se è un pericoloso terrorista giunto ad Amburgo, la città dalla quale partirono tre degli attentatori dell’11 settembre, per contattare un apparente filantropo musulmano e consegnargli i milioni ereditati dal padre russo allo scopo di finanziare il terrorismo.
Il thriller di Le Carrè, portato sugli schermi da Anton Corbijn, ruota attorno al personaggio di questo stropicciato agente segreto, magistralmente interpretato da Philip Seymour Hoffmann, ai sui dilemmi morali, alla sua umanità, che lo porta a non considerare Issa solo un potenziale terrorista, ma un essere umano,  alla sua ossessione nei confronti dell’ingerenza continua dei servizi americani nella vicenda che lo coinvolge, fino al tragico finale.  Non è un film d’azione, “A Most Wanted man”, anche se l’azione non manca, nella grigia città portuale tedesca e il regista olandese si affida pienamente alla recitazione magistrale di Seymour Hoffman per interpretare l’ultima grande spia di Le Carrè.
Non conosco Amburgo, ma certamente il film non mi ispira a visitarla. Devo invece ad un  altro film, “The Monuments Men” di e con George Clooney, un  viaggio a Bruges e Gand, in Belgio, per vedere di persona i capolavori (la Madonna col Bambino di Michelangelo e il polittico dell’Agnello Mistico di Jan e Hubert van Eyck) descritti nel film. Il  cinema è anche questo. Può spingere  li spettatori a voler vedere con i propri occhi ciò che hanno conosciuto attraverso lo schermo cinematografico.

Neri Paoloni