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Locke: uno che ha fatto la cosa giusta


Un’autostrada di notte. Piove. Alla guida di un SUV BMV un uomo sulla quarantina. Barba lunga, abiti casual.  E’ il capocantiere di una colossale costruzione, un grattacielo di cinquantacinque piani che ha bisogno di fondamenta più che solide per reggerne il peso. L’uomo, Ivan Locke, dovrebbe essere in cantiere a controllare che la colata di cemento, un cemento speciale, avvenga, domattina all’alba, nel migliore dei modi. Ma Locke non è lì è sul SUV, in viaggio da Birmgham a Londra. Al cellulare, collegato al display bluetooth dell’auto, comunica in viva voce con il suo capo Gareth, che sta entrando nel panico. Non gli dice perché ha deciso di mollare il cantiere ma intanto dà ordini secchi e precisi a un altro operaio, Donal, un polacco, su come gestire la colata in sua assenza. Gareth continua non capire, è furioso. Locke continua a dare ordini a Donal. Hai chiamato la polizia perché blocchi il traffico, quando arriveranno le betoniere cariche di cemento? Assicurati che il cemento sia della qualità richiesta e non una più scadente. Altrimenti non reggerebbe il peso e verrebbe giù tutto. Donal è allegro, forse ha alzato il gomito, non nega. Locke incalza. Devi fare venire un’altra squadra, altri operai. La colata deve essere velocissima, perché il cemento non solidifichi troppo presto.
Poi chiama la moglie, Katrina. E’ sposato e con due figli. La rassicura. Sarò a casa fra tre ore. La strada è libera, non ci sono problemi. Ma qualche problema c’è. Perché ha lasciato il cantiere? E’ ancora la conversazione via cellulare con i suoi operai e con il capo, in contatto con la società americana alla quale è stato affidato l’appalto del grattacielo a svelare lentamente la natura di questa corsa nella notte, lontano da dove, all’alba del giorno dopo dovrebbe essere. Eppure è un tecnico coscienzioso. Il suo diretto superiore non capisce cosa stia facendo. Gli ricorda che per nove anni è stato un lavoratore impeccabile.  Ora rischia di mandare tutto all’aria. Perché?
Locke intanto continua a parlare al cellulare, calmo e pacato anche quando deve dare ordini secchi, anche quando deve chiamare la polizia locale, che non trova i documenti necessari, perché siano disposti i blocchi  del traffico. Ma c’è anche una donna che parla al telefono, e non è Katrina. Ha già chiamato Locke prima della sua partenza. E’ Bethan. E’ in ospedale, a Londra. E sta per partorire. E’ stato Locke a metterla incinta. Un’avventura di una notte. La solitudine, dopo il lavoro, un bicchiere di troppo. Bethan è bruttina e stagionata e soprattutto una donna insicura. Ha chiesto a Locke, che non l’ha più incontrata da quella notte, di essere accanto a lei, quando il bambino, il “loro” bambino nascerà. E Locke va. A costo di mandare all’aria il lavoro, perché Gareth gli comunicherà che gli americani lo hanno licenziato, quando hanno saputo. A costo di mandare all’aria il matrimonio, perché alla fine deve dire la verità a Katrina e lei non lo perdonerà. Locke dall’auto pianifica, organizza, rassicura. Sa di distruggere la sua vita. Perché?
Per non commettere lo stesso errore di suo padre, che lo abbandonò in fasce. Non ama Bethan, ama la moglie, ama i figli che cerca di rassicurare. Ma è risoluto, ha un altro ben più alto dovere. Essere responsabile delle sue azioni. Fino in fondo. Se c’è rabbia in Locke è solo con il genitore che osserva dallo specchietto retrovisore, un fantasma che solo lui vede. Il film finisce all’ospedale. Il bambino è già nato. Per lui e per quella donna che non ama, Locke ha distrutto la sua vita. Ma sa di avere fatto la cosa giusta, il suo dovere fino in fondo. Per lui è ciò che conta.
Il film è uscito nelle sale ai primi di maggio. Avevo letto alcune critiche che commentavano negativamente il doppiaggio, L’ho rivisto in lingua originale. Forse il dialogo è più secco, ma la versione italiana non perde niente. Perché la bellezza di questo film, il secondo dell’inglese Steven Knight (Redemption) sta nei novanta minuti (otto notti di lavorazione) nei quali il tempo della storia e il tempo del racconto coincidono. Non c’è altro al di fuori della BMW e dell’autostrada notturna, con le sue luci e i fari delle macchine sulla corsia opposta. Claustrofobico? Forse.  Il film si regge sull’eccellente recitazione di Tom Hardy (“La promessa dell’assassino” di Cronenberg e “Piccoli affari sporchi” di Frears). Gli altri attori non si vedono. Sono le voci che raggiungono Locke sul suo cellulare. Da non perdere.

Neri Paoloni