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Viaggio in tablet con Claudio Cerasuolo,
a caccia de “L’oro d’Italia”… pronto in tavola


Alla fine ce l’ha fatta Claudio Cerasuolo ad imbandire per i cultori del ben vivere la più fragrante e colorata tavolata che un pur bravissimo anfitrione possa mai organizzare. Dopo due anni e mezzo di lavoro, comprese le defatiganti cavalcate in auto per l’armonioso groviglio culturale dei campanilistici ma sempre generosi paesanismi italiani, il suo ponderoso “L’oro d’Italia” (KM Studio, € 5,90), è cosa viva. Come dire: scorso il più completo e originario menu, affidata la scelta allo chef, immagazzinato il rituale spaccato di locali storie patrie da sempre colloquiali camerieri e il piatto è in tavola.
La fatica di Claudio, giornalista pensionato - attivo quanto basta nel sindacato Ungp – scrittore/viaggiatore, piemontese di Venezia in dosi bilanciate, è sì un librone di 808 pagine (niente paura!) ma è strutturato a gustosissimo “livre de chevet”. Da leggere a puntate, quasi con il piacere d’attesa imposta dalla preparazione delle portate. Dopo tutto, “L’oro d’Italia” Cerasuolo lo ottiene dopo aver fuso nel suo gradevole crogiolo narrativo le mille pepite delle cucine dialettali: con la miracolistica capacità di far immediatamente dialogare Saint Vincent con Mazara del Vallo. Probabilmente anche per questo l’autore lo ha consegnato alla distribuzione tecnologica, utilizzando, cioè, un supporto librario che ti consente di reggere, pure a letto, un tomo di 808 pagine grazie a un tablet ultrapiatto, per altro comodo compagno di viaggio da sfogliare a chiamata.
Domanda: ma che libro è mai “L’oro d’Italia”? Intanto, mai un tentativo di speculazione snobistica, nessuna presunzione di interporvi pagelle e valutazioni, niente preconcetti antropologici; anzi. Al più, suggestioni indotte, pacati entusiasmi, tanto ascolto, considerazioni cronachistiche rapportate all’incanto paesistico e paesaggistico del luogo visitato, lettura serena di già riconosciute pregnanze storiche di pertinenza, distaccato stupore verso l’invidiabile ospitalità che veste tanti dialetti ma si esprime nella “unica” lingua nazionale. Miracolo di quella grande, semplice ma ricca cucina italiana che sa mettere tutti d’accordo.
Già, e le immancabili discussioni da terzo e quarto bicchiere? Beh, anche quelle Cerasuolo sa spalmare in dialoghi che fanno conoscenze reciproche, senza acrimonie e violenze verbali. La sua è una tavola-koinè i cui ingredienti sono anche culture e arti sparse sul territorio a generoso beneficio del viandante. E qui il libro diventa romanzo di un’Italia prodiga di beni culturali, tesori a vista, donne e uomini di casate e contadi, gentiluomini con l’hobby della professione, portieri d’albergo tuttofare, parcheggiatori di circostanza, turisti stranieri preparatissimi, cuochi filosofi, dialoghi sui minimi sistemi, feste aristocratiche e poi ricette culinarie, centinaia e centinaia di consigli per i fornelli a scorrimento continuo. Un gioioso lungometraggio tra i giacimenti culturali italiani dai quali Cerasuolo tira fuori l’ennesimo oro dell’inesauribile forziere Italia: le cucine regionali. Anzi, no: la cucina italiana al netto di manipolazioni barbare e ammiccamenti da marketing. Da centellinare.

Paolo Aquaro