libri


GIORGIO LEVI – “VOLEVO ESSERE JIM GANNON”
MERCURIO EDIZIONI VERCELLI, 12 EURO


Un giornalista, da poco in pensione, si racconta e ci fa sapere come è andata con la professione, avventurosamente, per oltre trent’anni. La sua storia l’ha scritta e pubblicata on-line un anno fa, ma adesso è anche in libreria , su carta. Vale proprio la pena di leggere la sua odissea, dal titolo allettante: “Volevo essere Jim Gannon”. Chi ? Chi era costui? Si pronuncia il nome e si entra subito nel mito, era un personaggio interpretato negli Anni 50 da Clark Gable, nel film “Dieci in amore”, con Doris Day. Un giornalista, un eroe affascinante per un bambino di dieci anni che vide allora alla tv, di nascosto, la pellicola americana e ne fu segnato per sempre. “Quella sera mamma e papà erano andati al cinema, io mi incantai davanti alla figura di quel burbero ma onesto caporedattore di un quotidiano newyorchese . Ho inseguito Jim Gannon per tre decenni e questa è la storia di un cronista fra personaggi, editori, giornali: fatti inediti e qualche cattiveria, l’altra faccia di un mondo controverso e spesso inaccessibile”.
Giorgio Levi, 60 anni, pieno di interessi e impegnato nella trincea sindacale piemontese, sintetizza così il suo libro: “Dalla gavetta torinese al fasti di Retequattro, dall’impero della Mondadori alla cronaca di provincia, dalla guerra di Segrate alla battaglia per entrare a La Stampa. Da Topolino a Grazia, dai quotidiani lombardi  alle province del Piemonte, tra lotte sindacali e difesa di questo mestiere, ecco come è andata . Ho percorso ogni chilometro di strada della pianura padana. Ho conosciuto sindaci, assessori, vigili del fuoco, contadini, vignaioli, industriali, preti, operai, barboni. Ho scavato nei dettagli per far diventare fatti veri gli indizi più vaghi, ho gonfiato come palloni minuzie raccolte nei bar, ho rubato testine dalle case di vedove e orfani. Ho scoperto che tutte le province si assomigliano, ognuna con le medesime beghe di condominio. Alla fine mi sono domandato se sono diventato davvero come il mio eroe Jim Gannon. Forse no. Ma ho imparato ad ascoltare la gente, a scavare nelle notizie e a raccontare i fatti il più possibile vicino alla verità. Ho scritto pezzi di storia, magari infinitesimali e lontani dalla prime pagine, ma l’ho fatto con il cuore. In fin dei conti questo è tutto quello che deve fare un giornalista per bene”. Oggi  potremmo avere qualche dubbio, visti i tempi e l’andazzo , in tempi di “professione precario”. L’autore dedica , appunto, i suoi ricordi “ a tutti quelli che guadagnano un euro ad articolo, a quelli che sono disoccupati, a quelli che amano la professione di giornalista e la difendono dai soprusi, a quelli che hanno vent’anni e vogliono fare questo mestiere, a quelli che lottano per vincere le proprie battaglie”.
Romanzo godibile e biografia, racconto e storia personale. Molti si riconosceranno nelle peripezie di Levi-Gannon, dalle tv private a Berlusconi  (illuminante l’impatto del giovane cronista con il futuro Cavaliere), a  La Stampa che il nonno socialista dell’autore chiamava come tanti lettori sotto la Mole, “la busiarda”. Nella prefazione Alessandra Comazzi , che davanti a tanti giovani colleghi il 14 dicembre ha presentato il volume all’Associazione Stampa Subalpina (molto apprezzata la lettura di alcuni brani che ne ha fatto una attrice ), ha scritto: “E’ un libro per tutti coloro che hanno voglia di saperne di più su che cosa succede dietro le quinte dell’informazione”.
Il ragazzino, prima di incontrare Gannon,  da grande voleva fare il salumiere ed era contento anche il nonno Giovanni  “licenziato dalla Fiat per non aver aderito al partito fascista “. Il nonno che  nella sua vita aveva telefonato solo due volte , “ e tutte e due le telefonate le avevo prese io”.  Il ricordo: ”Nell’aprile del 1961 avevo 9 anni, “Giors, Giors i rusi l’han mandà n’omu nt’le spasi!”. Nel 1963 avevo 11 anni: ”Giors, Giors, l’han masà Kennedy, guardeve la televisiun”.  Il nonno che, quando Giorgio aveva sei anni, l’aveva portato in via Roma , sotto la sede de La Stampa, dalle finestre dell’ammezzato usciva un rumore metallico : “Ascolta , questi sono i tipografi che compongono il giornale. Vedi quelle finestre aperte ? Vuol dire che c’è la libertà. Quando c’era il fascismo qui era sempre tutto chiuso. Loro lavoravano, ma forse si vergognavano di non essere liberi”. A  La Stampa negli Anni 70 Giorgio Levi si presenta a un colloquio con il direttore Arrigo Levi. “Sono qui perché voglio fare il giornalista”. “Dunque, sì, capisco, sì , in effetti abbiamo bisogno di giovani”. “Ecco”. “Però io Levi non assumo un Levi. Per il momento fai esperienza”. Al giornale della Fiat il giovane cronista (che  comunque non era parente e neppure ebreo come il direttore , a parole liberal, ma poi…..) ci arrivò infine, la tappa finale, dopo sette anni di contratti a tempo e una causa, terminata senza processo con l’assunzione, ma esiliato da un altro direttore (sono tutti di una razza speciale!), Anselmi, in provincia (“Fosse dipeso da me non ti avrei mai assunto”).  Scrive Levi : “ Dopo anni di contratti a Torino, a dieci minuti da casa, mi ha destinato alla più sperduta delle province, nel mezzo delle risaie, perché paghi il prezzo delle mia assunzione. Alla cattiveria non c’è limite, ma Faccia di Pietra non sa che in 40 anni di fatiche, rincorse e battaglie, non mi sono mai arreso”. Dedicato , questo è il mio commento, a tutti gli stupidi che credono ancora che “piuttosto che lavorare faccio il giornalista”.
Prima del giornalone di Mamma Fiat, Levi aveva attraversato, come lui ha ricordato, il pianeta Mondadori, Retequattro, il Gruppo La Repubblica- Finegil, “ e altri 12 giornali, tra i quali Topolino, del quale vado molto fiero”. Vuoi mettere il mondo magico di Disney, oltre a Topolino, Dolly con le lettere delle ragazzine infoiate, e Barbie? Vuoi mettere un giornale di auto con direttore pazzo, Grazia e la sua mitica direttrice (quante donne giornaliste in carriera e impossibili e misteriose e prepotenti e supponenti, nelle cucine dei settimanali patinati che imperversano in edicola, questo libro è un’enciclopedia di caratteri, di tic, di personaggi strani, altro che Jim Gannon, se non ci fosse stata l’infatuazione iniziale per Clark Gable, si potrebbe dire del protagonista : ma chi glielo ha fatto fare, poteva anche cambiare mestiere! Magari salumiere?
Troppi gli episodi, i personaggi, le facce, le parole che bisognerebbe citare. C’è tutta una vita in queste pagine.  Un assaggio dall’indice: la distilleria di Tito Bruciaferro, galoppo per Milano imbottito di scaloppine, alla festa di Mike le barzellette di Berlusconi, Berlusconi mi guarda i baffi (dice oggi Levi: non ero comunista ma lo divenni quando lo incontrai), l’aria di Pillitteri, i giorni infuocati del terrorismo, l’assalto delle vallette, il caposervizio che sputava sulla testiera, il primo reportage, la “lunga”. Eccetera. Il tutto è stato definito “racconto alternativo”, di uno che oggi , sigaro toscano in bocca, si definisce “ideologo della pigrizia”. Non è vero, naturalmente, a giudicare dal suo frenetico attivismo e dalla passione per il golf. Chissà se Jim Gannon aveva tempo per frequentare i prati snob del green!

Antonio De Vito