16/01/2012

La riforma Fornero ci obbliga a discutere
Seghetti: "Reggerà ancora il sistema previdenziale dei giornalisti?"

Le lacrime della ForneroI giornalisti italiani hanno saputo costruire nel tempo, con i propri contributi, la propria intelligenza, i propri sacrifici, un welfare positivo: l’Inpgi, l’istituto di previdenza sostitutivo dell’Ago, l’assicurazione generale obbligatoria per i dipendenti, e che eroga a nostre spese anche forme di ammortizzazione sociale come la cigs o la disoccupazione; il fondo Inpgi per i free lance e i collaboratori; il Fondo di previdenza integrativa; il Fondo ex fissa; la Casagit, la cassa malattia di categoria

 


Ogni volta che si è profilato un problema la categoria ha saputo rispondere alla sfida. Naturalmente non sono mancati i mal di pancia. Ma se oggi esiste ancora questo gruppo di enti che garantisce a tutti noi una qualità della vita dignitosa (è la ragione per la quale diciamo che tutto questo fa anche parte della nostra autonomia) lo si deve alla capacità di affrontare i problemi.
Oggi ci troviamo di fronte all’ennesima sfida. Fatta la riforma della previdenza pubblica, il ministro Elsa Fornero ci ha messo di fronte a un appuntamento che non sarà eludibile: entro giugno tutte le casse dei professionisti dovranno dimostrare di avere entrate contributive e spese per le prestazioni in equilibrio per 50 anni. In caso contrario, contributivo pro rata per tutti gli attivi e taglio dell’uno per cento per i pensionati.
La Federazione della Stampa e l’Inpgi hanno fatto bene a protestare per questa forzatura. Le due riforme che abbiamo fatto negli ultimi anni ed il patrimonio accumulato nel tempo consentono ai giornalisti di nutrire ancora con orgoglio il desiderio di mantenere una propria autonomia, con prestazioni migliori e regole disegnate su misura. Possiamo e dobbiamo dare battaglia su questo punto, anche perché abbiamo dimostrato finora di essere in grado di affrontare anche scelte difficili.
Tuttavia, credo che occorra anche non prenderci in giro. E lo voglio dire pubblicamente perché nelle passate elezioni feci un errore: solo nell’ambito di riunioni più ristrette chiesi di discutere con la categoria la prospettiva di una riforma che credevo necessaria. Non se ne fece nulla. Marcia trionfale. Ma poi la riforma è stato necessario farla davvero. Solo che la categoria ne ha discusso dopo, e non prima.
Questa volta voglio dirlo pubblicamente con largo anticipo rispetto alle elezioni: sì, possiamo e dobbiamo lavorare e dare battaglia, se necessario, per mantenere le nostre migliori condizioni previdenziali. Ma non è vero che possiamo farlo perché tutto va bene, perché non ci sono problemi e non abbiamo di fronte sfide assai delicate. Dire che per i giornalisti non ci sono problemi e che tutto è a posto oggi equivale a imitare Tremonti e Berlusconi che per anni ci hanno detto che tutto andava bene e poi ci siamo trovati, come si dice dalle mie parti, con una mano davanti e una dietro.
Secondo i calcoli dell’attuario, l’ultima riforma ci ha messo al sicuro per i prossimi 30 anni. Il nostro patrimonio, se ben gestito, può contribuire a questo esito. E anche di più. Ma ci sono alcune condizioni che non bisogna dimenticare, e non si può far finta che non esistano.
Quella principale è che l’occupazione si mantenga almeno stabile. Non a caso, l’ultima manovra dell’Inpgi prevede intelligentemente sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato. I primi effetti, comunicati dall’Inpgi, sono positivi.
Ma l’occupazione si manterrà almeno stabile? Per capire le ragioni per le quali dico che occorre fare una discussione approfondita, vasta, sullo stato del nostro welfare, basti qui citare a titolo di esempio due elementi che rappresentano altrettanti fonti di possibile insicurezza.
Il primo. Dai fondi per l’editoria, a sostegno dei giornali politici e non solo, dipende l’occupazione di un gran numero di giornalisti professionisti. Senza questi fondi l’occupazione subirebbe un ridimensionamento. E’ giusto che sia mantenuto questo intervento dello Stato per garantire il pluralismo. Ci mancherebbe altro. Ma come dimostra l’esperienza degli ultimi anni, nessuno può essere certo che ciò avvenga anche in futuro.
Il secondo. Se la categoria ha retto l’ultima fase delle ristrutturazioni lo si deve anche al fondo di circa 20 milioni di euro messo a disposizione dallo Stato per tamponare il costo dei prepensionamenti. Questi fondi sono pressoché esauriti.
Senza considerare il dislivello tra le prestazioni oggi ancora riservate agli anziani e i contributi relativi alle retribuzioni di ingresso dei giovani. Quanto poi alle nuove assunzioni, vedremo se nei prossimi anni gli sgravi contribuiranno a far sì che le uscite siano compensate dalle entrate.
Il tema della platea contributiva riguarda tutti gli strumenti di welfare della categoria, soprattutto Inpgi e Casagit.
A queste riflessioni, oggi se ne aggiunge un’altra: dobbiamo rispondere al governo ergendoci a difesa dell’autonomia di “tutte” le casse dei professionisti? I giornalisti sono lavoratori dipendenti (i free lance hanno il fondo Inpgi che è in equilibrio per definizione perché offre prestazioni esattamente correlate ai contributi versati da ognuno e al rendimento del patrimonio, il fondo di previdenza integrativa è in equilibrio per la stessa ragione). Noi versiamo un ammontare di contributi previdenziali assai vicino a quello dell’Inps, soprattutto dopo l’ultima riforma. Gli altri professionisti hanno contribuzioni spesso molto più basse. I nostri conti sono in linea, con alcune grosse incognite. Quelli di alcune delle casse dei professionisti non danno alcun affidamento sul futuro. Ecco. Credo che non ci siano le condizioni per difendere allo stesso modo tutti. E sarebbe un grave errore farlo.
Infine: credo che sarebbe opportuno che la categoria tutta sia chiamata a discutere. Che cosa vogliamo fare rispetto al futuro, sull’insieme del nostro welfare? Pensiamo che i contributi Casagit siano sufficienti a mantenere le prestazioni così come le conosciamo oggi, senza tagli né forme sempre più stringenti di risparmio? Pensiamo che i contributi che paghiamo per le pensioni siano sufficienti a garantire le prestazioni, tutte le prestazioni, garantite oggi, superiori a quelle Inps sotto diversi aspetti, la cig, la disoccupazione, i prepensionamenti, la reversibilità più altra che per le altre categorie? Pensiamo che la ex fissa possa reggere così come è oggi anche per il futuro? Non pensiamo che sarebbe opportuno incrementare i versamenti verso il fondo di previdenza integrativa? E, infine, pensiamo che tutto questo sia compatibile pure con continui e progressivi aumenti contrattuali? E che sia pure compatibile con assemblee generali composte da decine di colleghi, consigli di amministrazione, commissioni con gettoni di presenza, incarichi plurimi nei diversi enti, con pranzi e cene, alberghi e taxi a Roma e non solo? Forse sì, se saremo pronti a fare anche altri interventi. Forse no. Ma vogliamo parlarne? Vogliamo pensare al futuro, o si ha paura che poi i colleghi non votano chi dice cose scomode? Io preferisco parlarne.

Roberto Seghetti