14/07/2015
Paolo Baggiani (Esecutivo Ungp): "Le ragioni di un no"
Sono uno dei due componenti del Consiglio nazionale che ha espresso il voto contrario all'Ordine del giorno approvato dall'Unione Nazionale Giornalisti pensionati il 24 scorso a Roma. Vorrei spiegare e motivare il perché di quella posizione. Anche l'Inpgi si adegua alla moda perversa ormai imperante nel nostro Paese secondo la quale i pensionati costituiscono un salvadanaio dal quale attingere nei momenti di crisi (e non solo) per risanare conti deficitari creati da improvvide gestioni o peggio
In questo senso la proposta di interventi presentati dall'attuale amministrazione dell'Inpgi per sanare i conti dell'Ente è da respingere totalmente, per diversi motivi.
Prima di tutto non si può affidare all'attuale gestione il risanamento dei conti e in generale dell'Ente. Sarebbe come se il governo affidasse il risanamento della Terra dei Fuochi a chi ne ha creato il disastroso inquinamento!
L'incapacità dell'attuale amministrazione Inpgi è dimostrata dalla scarsa preveggenza (in termini economici, politici e sociali) verso il peggioramento della situazione dell'editoria, figlio di una crisi che non è nata ieri, ma che ha le sue radici addirittura nel secolo scorso, quando l'introduzione nel settore delle nuove tecnologie ne ha mutato profondamente le caratteristiche.
Un esame più attento e serio dei trend di evoluzione dell'editoria in genere e della carta stampata in particolare avrebbe potuto portare ad evitare, o quantomeno ad alleggerire, la situazione odierna.
Non ci voleva la sfera di cristallo per capire che lo sviluppo delle nuove tecnologie avrebbe inciso profondamente sull'intero mondo dell'informazione, le cui trasformazioni sono state sfruttate al massimo dagli editori che ne hanno intravisto e utilizzato da subito le potenzialità, mentre i sindacati del settore, compresa la Fnsi, si sono trovati nella condizione di inseguire i nuovi problemi senza poter o saper gestire le conseguenze che le nuove trasformazioni avrebbero provocato. Si poteva, e doveva, prendere atto che ci sarebbe stata una diminuzione dell'occupazione giornalistica e adottare da subito misure correttive.
La storia e l'evoluzione sociale ci insegnano che ogni salto tecnologico crea un gap generazionale, il cui costo è pagato dalle generazioni successive all'introduzione delle novità. Mestieri e professioni cambiano, muoiono, spariscono, e la sopravvivenza risiede nella capacità di riconversione. Ad esempio, l'introduzione dei software per la scrittura e la composizione ha fatto sparire i correttori di bozze, l'impaginazione elettronica è passata dai grafici agli stessi redattori, i giornalisti televisivi sono diventati spesso anche cameramen, e così via, mentre le figure di controllo dei processi, che non davano valore aggiunto alla "merce informazione" sono sparite o diminuite, accorciando così la struttura gerarchica e di comando.
Agli inizia del secolo scorso, il maniscalco ha ceduto il posto al meccanico di officina, il costruttore di carrozze all'attuale carrozziere e così via per tutti i mestieri collegati ai sistemi di trasporto. Basterebbe pensare per un attimo al "teletrasporto" di fantascientifica memoria, la cui realizzazione, stante i notevoli progressi della fisica quantistica, appare non tanto più fantasiosa. Ma se verrà realizzato, cosa succederà all'intero mondo dei trasporti su strada, marittimi, ferroviari ed aerei? E a tutta l'industria indotta?
Era ovvio che il giornalismo si sarebbe profondamente modificato, e ancora si modificherà. La carta stampata perde lettori a vantaggio della TV, di Internet, dei nuovi media elettronici, mentre la pubblicità, cibo essenziale per il sostentamento del settore, si sposta di conseguenza.
Davanti a questi cambiamento epocali, il mondo istituzionale del giornalismo è stato, o perlomeno è apparso, indifferente. Ogni anno l'Ordine - anche grazie alle cosiddette "scuole di giornalismo" che hanno proliferato in tutta Italia - sforna centinaia di nuovi professionisti che vanno ad ingrossare la schiera dei disoccupati, dei sottoccupati, dei precari, e che costituiscono una massa di lavoratori che gli editori sanno sfruttare a loro vantaggio per la legge della domanda e dell'offerta. Si dirà che le sessioni di esame sono previste dalla legge istitutiva dell'Ordine, ma se questa crea più danni di quanti ne voglia eliminare, allora si dovrebbe cambiare, con buona pace di un Ordine forse più attento ai ritorni economici delle nuove tessere piuttosto che alla situazione generale. Il libero accesso alla professione è così divenuto il libero accesso alla disoccupazione. E forse è arrivata l'ora di stabilire il numero chiuso per la professione, alla pari di quanto avviene in certe facoltà universitarie.
Nuove iniziative editoriali, specie a livello locale, vengono spesso accolte con entusiasmo in nome della pluralità dell'informazione, ma generalmente falliscono dopo pochi mesi, creando nuovi disoccupati, mentre l'Inpgi non riesce a recuperare i contributi mai versati!
Torniamo alle proposte per il risanamento dell'Inpgi, e, in particolare, alla parte che riguarda le pensioni esistenti.
Negli ultimi 15 anni le nostre pensioni hanno perso oltre un quarto del loro valore, per i contributi "di solidarietà", per l'aumento delle tasse, in particolare le addizionali locali, e per la mancata perequazione. E su questo punto esiste una smaccata contraddizione. Anni fa, proprio per il riconoscimento della necessità dell'adeguamento delle pensioni all'aumento del costo della vita, venne creato il "Fondo per la perequazione", rimasto nel limbo per diversi anni a causa del mancato accordo tra Fnsi e Inpgi su chi avrebbe dovuto gestire il fondo. La situazione è stata poi sbloccata, ma il fondo è stato utilizzato non per la perequazione, ma come fondo di solidarietà per le pensioni più basse. Utilizzo sul quale possiamo essere d'accordo, ma allora cambiamo il nome del fondo!
Anche le ultime vicende sulla perequazione, che hanno riguardato solo le pensioni più basse, hanno escluso tute le altre, già colpite dal mancato adeguamento degli anni passati, con beneficio dell'Inpgi che ha incamerato quei soldi. Non a caso i Gruppi regionali dei giornalisti pensionati hanno prodotto documenti nei quali, con sfumature più o meno diversificate, vengono respinte le proposte di riduzione delle pensioni esistenti.
Ma, a mio parere, è l'intera gestione dell'Inpgi che si è rivelata fallimentare. Non bastano gli "artifizi contabili" i quali, pur previsti dalle leggi, consentono di vantare utili o chiusure in attivo.
Una delle note dolenti riguarda il servizio ispettivo, che dovrebbe essere potenziato. Tutti i colleghi sanno che esistono situazioni anomale. Pensionati che all'interno dei giornali e dei diversi mezzi svolgono compiti propri dei redattori, talvolta con la "benevolenza" dei comitati di redazione, Aziende ed Enti pubblici che, a dispetto delle leggi e dei pronunciamenti della magistratura, rifiutano di applicare il nostro contratto per chi svolge mansioni giornalistiche, testate online, regolarmente registrate, che non si sognano di pagare i redattori, (talvolta mascherati con altre figure professionali), secondo il contratto, e di pagare all'Inpgi i relativi contributi. E si potrebbe continuare ancora, Insomma, c'è una massa di evasioni contrattuali e contributive sulle quali sarebbe opportuno puntare una lente di ingrandimento. E, diciamocelo pure, talvolta sono proprio le organizzazioni sindacali che vedono con preoccupazione le ispezioni "perché potrebbero provocare licenziamenti", come dire "meglio gli abusi che le sanatorie"!
Inoltre, salvo errore, recenti provvedimenti legislativi consentono agli Enti previdenziali di poter vendere una percentuale del patrimonio immobiliare. Quanti sono quelli che l'Inpgi potrebbe dismettere, e per quale valore? O si vuol continuare a tenere sfitti appartamenti, come mi dicono sia avvenuto ed avvenga in Campania e in altre regioni, mentre corrono i costi di gestione?
Un altro punto dolente è rappresentato dalle retribuzioni degli amministratori Inpgi. A questo punto è necessaria comunque una precisazione. Non siamo contro le retribuzioni elevate per partito preso. Come in ogni azienda che si rispetti, i manager devono essere pagati in funzione dei risultati che raggiungono. Se oggi l'Inpgi fosse in attivo (quello vero, però), credo che nessuno metterebbe in discussione le retribuzioni, sia degli amministratori che degli alti dirigenti. Ma, purtroppo, all'Inpgi i risultati non ci sono stati.
Il signor Camporese costa all'Inpgi circa 850 euro per ogni giorno che il buon Dio manda sulla terra, comprese le domeniche, i festivi infrasettimanali, i giorni di ferie, e così via. Il Presidente dell'Inps, Boeri, per sue dichiarazioni al Corriere della Sera, guadagna la metà. E meno del Signor Camporese guadagna il Presidente della Repubblica. Il signor Camporese, nella polemica accesa l'anno scorso dal "Fatto Quotidiano", disse che se fosse rimasto in Rai avrebbe guadagnato la stessa somma, e forse di più. Ma allora chi glielo ha fatto fare a sacrificarsi per andare all'Inpgi? Alla faccia dello spirito di servizio che dovrebbe improntare chiunque ricopra cariche istituzionali nei nostri organi!
In attesa delle decisioni della Magistratura sull'eventualità di un rinvio a giudizio del signor Camporese, c'è solo da augurarsi che non continui la tragica consuetudine della "compagnia di giro", di quelli cioè che passano allegramente da un Ente all'altro, dall'Inpgi alla Casagit, dal Sindacato all'Ordine e così via. C'è da augurarsi che il signor Camporese non finisca alla Casagit, altro pilastro della sopravvivenza di tutti i giornalisti pensionati!
Per concludere, credo sia opportuno fare appello all'intero consiglio di amministrazione dell'Inpgi affinché si dimetta, e subito, per lasciare subito spazio ad una nuova gestione che si presenti all'elettorato con programmi ben precisi e più equilibrati per il risanamento dell'Ente, sui quali l'Unione dei giornalisti pensionati dovrebbe prendere una decisa posizione.
Paolo Baggiani
Componente del Comitato esecutivo Ungp