06/07/2015

Tallia (Subalpina) sulla riforma dell’Inpgi: “Disoccupazione ultima voce da toccare”

Stefano TalliaPartiamo da una premessa: non ho mai creduto che gli interventi economici siano una materia “neutra” e che esista una sola via per raggiungere i risultati di bilancio. Chi lo sostiene, in genere, lo fa perché intende omettere gli interessi reali che siedono dietro alla sua “proclamata neutralità”. Non credo quindi al “ce lo chiede l’Europa” o al “ce lo chiedono i nostri figli”, perché dipende appunto da quale futuro immaginino per sé l’Europa e i figli


Per analogia, non penso quindi sia giusto valutare la riforma che ci è stata proposta dall’Inpgi utilizzando una mera lente contabile. Nel momento in cui la categoria si trova ad affrontare una crisi senza precedenti e l’istituto di previdenza si appresta a varare una manovra nel tentativo complesso di salvare la sua autonomia, penso sia doveroso, da parte di chi detiene responsabilità collettive, indicare non solo i correttivi che ritiene opportuni ma anche le possibili fonti di finanziamento. Partiamo da qui. La stella polare della riforma dev’essere, a mio modo di vedere, l’equità. Come ricordava don Lorenzo Milani da Barbiana, l’eguaglianza non consiste però nel fare parte uguali tra diseguali, ma nel cercare di ridurre le disparità. Tradotto, è indubbio che nella nostra categoria vi sia in questo momento una forbice significativa tra i redditi e le pensioni dei colleghi che hanno usufruito dei percorsi professionali “classici” e le retribuzioni e le aspettative pensionistiche sia dei più giovani, sia di chi è stato espulso precocemente dalle redazioni. Se ho quindi apprezzato lo sforzo del Cda dell’Inpgi di spalmare gli interventi su tutte le categorie beneficiarie di prestazioni, ci sono almeno tre correzioni che riterrei importante apportare. La prima riguarda il sussidio e la contribuzione figurativa per i colleghi che finiscono in disoccupazione. Un milione di risparmio non è una grossa cifra, ma se anche l’impegno economico fosse più significativo, credo che questa sarebbe davvero l’ultima voce da toccare. Ma non è il solo problema. Nell’attuale situazione di mercato, i quaranta/cinquantenni che perdono il posto difficilmente riescono a trovare una nuova occupazione. Molti di loro hanno già maturato i vent’anni di contributi che daranno diritto alla pensione, ma nell’attesa che giunga quel momento loro vita professionale è costellata da collaborazioni occasionali spesso mal pagate. Lo schema di riforma sposta significativamente in avanti, in particolare per le donne, il momento nel quale si ottiene il diritto all’assegno di pensione. Perché allora, tra le clausole di salvaguardia, non inserire il congelamento dell’età pensionabile per quei giornalisti che, avendo maturato i vent’anni di contributi, si trovino e non per loro scelta in condizione di disoccupazione? Terza correzione che riterrei opportuna, permettere comunque l’accesso alla pensione una volta raggiunti i quarant’anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica. Si obietterà naturalmente che tutto questo ha un costo. Certo, quindi non mi sottraggo dal dire che riterrei ragionevole sostenere questa maggiore uscita attraverso un incremento del contributo di solidarietà a carico di attivi e pensionati, esentando dalla misura quei colleghi che subiscano una riduzione del salario per Cig o Contratti di Solidarietà. Fare per l’appunto parti diverse tra persone che si trovano in una diversa condizione economica. Si è detto –e a ragione- che questa manovra non sarà sufficiente a salvare i conti dell’istituto. Perché funzioni e perché in dieci anni il bilancio torni in equilibrio, è necessario che riprenda l’occupazione. Un elemento questo che è solo parzialmente nella nostra disponibilità, anche se, ad esempio, i tempi per il passaggio dei Co.Co.Co nella gestione principale potrebbero accelerare. Come dovremmo valutare la possibilità di allargare ulteriormente la platea contributiva immaginando meccanismi di inclusione per le centinaia di giovani che frequentano la professione attraverso le piattaforme digitali e il cui rapporto contrattuale è “atipico”. In ogni caso, sarà impossibile trovare un equilibrio economico senza una riforma radicale della legge 416. Gli ammortizzatori sociali –come ho già avuto modo di scrivere in passato- si sono lentamente trasformati da strumento di protezione dei lavoratori ad agile escamotage utilizzato da alcune aziende per ridurre il costo del lavoro senza dover rendere troppe spiegazioni. Accade perché la legge non permette né alle organizzazioni sindacali, né alla parte pubblica, di entrare nel merito della situazione economica che viene rappresentata al tavolo di trattativa. I piani industriali allegati alla richiesta di ammortizzatori sociali sono spesso meri “pro-forma” e la 416 ne autorizza l’utilizzo anche in presenza di una semplice previsione di perdita. Nessuno chiede insomma conto all’impresa né della sua reale situazione economica, né del piano che pensa di mettere in atto per uscire dalla crisi. Viene così autorizzato l’utilizzo di risorse pubbliche senza indagare se queste servano realmente a uscire dalla situazione di difficoltà o se siano utilizzate semplicemente per prolungare il tempo di una agonia. Tutto questo, naturalmente, sulle gracili spalle dell’Inpgi. Non va bene. Chiedere con forza la riforma della legge 416 è quindi doveroso, a maggior ragione nel momento in cui i giornalisti si preparano a sacrifici importanti. Mi permetto a questo proposito di riformulare tre modeste proposte che avanzai qualche tempo fa: 1) Autorizzare gli ammortizzatori sociali solo dopo un esame rigoroso del piano di rilancio che coinvolga le parti sociali, il Governo e gli enti incaricati di erogare le indennità (Inps, Inpgi). 2) Vincolare l’uso degli ammortizzatori sociali a un periodo preciso e limitato nel tempo. 3) In assenza di queste condizioni, provvedere alla protezione del lavoratore tramite un’indennità che vada ad aggiungersi ai trattamenti già previsti, mettendo al tempo stesso in atto tutele per le forme di lavoro “atipiche”.  In ultimo, molti colleghi hanno centrato le loro critiche al progetto di riforma Inpgi puntando sul mancato ridimensionamento delle indennità percepite dal Presidente Inpgi e dai membri del Cda. Per onestà contabile va detto che, anche se queste venissero azzerate, poco cambierebbe da un punto di vista dell’equilibrio economico dell’istituto. Tuttavia riterrei opportuno, nel momento in cui viene chiesto un sacrificio alla categoria, che analogo sacrifico venisse offerto anche dagli amministratori. Non per una questione contabile –ripeto- ma per non concedere l’arma del populismo a chi vuole così mascherare il suo personale egoismo. Concludendo, non sono queste, come vi ho detto in premessa, proposte neutre e mi rendo conto che possano creare qualche malumore. Penso però che la serietà si misuri anche dalla chiarezza delle opinioni, opinioni che porterò nella Giunta Fnsi nella quale si discuterà della riforma e che ho ritenuto di farvi conoscere perché la democrazia è fatta anche dalla trasparenza delle scelte”.

Stefano Tallia
Segretario Associazione Stampa Subalpina