25/11/2011

Non è finita la sfida per salvare l’Inpgi e le pensioni dei giornalisti
Il futuro dell'Istituto é nelle mani del lavoro garantito

“Meno male che siamo vecchi” esclamò un collega di Panorama, il giorno in cui fu dichiarata la crisi alla Mondadori. Noi due eravamo nelle condizioni di essere prepensionati e quella battuta paradossale ci fece sorridere. Ma sapevamo che al fondo c’era un’amara verità. Naturalmente, è difficile accettare di lasciare il proprio lavoro. Il pensionamento implica un cambiamento di status per ciascuno di noi, e a nessuno fa piacere ammettere di non essere più il giovane di una volta. Senza contare che il lavoro, cioè continuare a seguire ciò che accade nel mondo, per un giornalista non è  solo uno dei possibili modi di essere, ma “il” modo di essere


Tuttavia, è chiaro che aver raggiunto la pensione oggi rappresenta un approdo passabilmente solido, per quanto scomodo e via via corroso dal costo della vita, in un mondo incerto e pieno di insidie.
Penso spesso a quelle colleghe e a quei colleghi, e non sono pochi purtroppo, che in questo periodo sono senza lavoro e non hanno ancora raggiunto i limiti previsti per approdare alla pensione.
Quando noi pensionati ci lamentiamo per le nostre condizioni credo che sarebbe giusto pensare anche a loro, nella consapevolezza che i prossimi anni saranno decisivi per tutti noi. Pensionati, attivi più anziani, giovani, precari siamo tutti legati allo stesso destino: la salute e la robustezza della categoria dei giornalisti sarà la base della salute e della robustezza dell’Inpgi e delle altre strutture di servizio e assistenza, Fondo di previdenza integrativa e Casagit, enti fondamentali per la qualità della vita.
Il futuro non è scontato. Dobbiamo batterci per mettere al sicuro il nostro mondo. La stessa storia recente del nostro paese ci dimostra che non basta pensare positivo. Bisogna capire la realtà e prendere le decisioni più opportune per evitare gli scogli che già sappiamo trovarsi sulla rotta durante la navigazione.
Per la seconda volta in pochi anni l’Inpgi ha varato una riforma, con tagli e sacrifici. E’ stato un bene, perché questo rigore ci mette al riparo da indebiti interventi del governo di oggi e da quelli del futuro, di qualsiasi colore politico. Nello stesso tempo il rinnovo del contratto e gli accordi di contorno con gli editori hanno portato qualche sicurezza aggiuntiva (basti pensare al fondo contrattuale per sostenere le pensioni più basse, appena istituito e che certo avrà bisogno di tempo per crescere).
Ma non dobbiamo illuderci che la sfida sia finita. Messo al sicuro l’andamento oggi prevedibile delle principali voci dell’Inpgi, la possibilità di reggere in futuro dipenderà nei prossimi anni dalla numerosità dei nuovi ingressi nella professione, dal livello della retribuzione che i giovani riusciranno ad ottenere, dalla buona amministrazione dei nostri enti e dei nostri patrimoni, ma anche dalla capacità di ridurre le spese di amministrazione.
Questo significa che noi pensionati dobbiamo lottare per migliorare il nostro status, battendoci per ampliare le conquiste fin qui ottenute, a cominciare dal fondo contrattuale e dall’innalzamento delle somme libere dal divieto di cumulo, ma sapendo che dobbiamo essere attivi e molto presenti anche nelle altre battaglie della categoria.
Per rompere il muro che gli editori stanno costruendo all’ingresso nel lavoro giornalistico non basterà una battaglia contrattuale e nemmeno le facilitazioni contributive che giustamente l’Inpgi ha deciso di mettere in campo. Il futuro di tutti dipende dal numero dei giovani che nei prossimi anni avranno regolari contratti e regolari versamenti. Molto dipenderà dalle iniziative che le singole redazioni saranno in grado di portare avanti, dalla pressione che saprà esercitare la Fnsi, dalla pressione che saprà esercitare l’insieme della categoria, noi pensionati compresi, per quello che potremo.
Nello stesso tempo, saranno opportune anche altre iniziative. Come per i costi della politica, non possiamo sottrarci all’idea di abbassare i costi di amministrazione dei nostri enti, a cominciare dagli appannaggi dei gruppi dirigenti eletti. L’elezione all’Inpgi non può essere una sinecura per la collocazione dei capi corrente del sindacato. E lo stesso vale per la Casagit, per il Fondo di previdenza integrativo (dove in realtà le spese di amministrazione sono ridotte davvero al lumicino), per l’Ordine dei giornalisti. Un conto sono i rimborsi per le spese sostenute dai colleghi chiamati a ricoprire i diversi incarichi, un altro sono appannaggi sostanziosi per i quali si scatena la battaglia elettorale. Non è la prima volta che personalmente mi pronuncio per questo tipo di soluzione. Credo che sia una battaglia che vale la pena di fare.
Infine, la buona amministrazione degli enti e dei patrimoni. Innovazione, efficienza, massa critica delle attività da raggiungere anche con iniziative che mettono insieme i diversi enti o che allargano i confini della loro attività ad altre categorie paganti. Tutto questo può essere oggetto di dibattito, di vigilanza e di iniziativa, anche da parte dei pensionati. Il fatto di essere pensionati non significa che dobbiamo essere ai margini della vita della categoria. Al contrario: è nel nostro interesse essere tutti insieme ben vigili e presenti.

Roberto Seghetti
(da Il Giornalista pensionato n° 6/2011)