25/11/2011
Pietro Ichino: sul lavoro flessibile c’è del buono (forse) in Danimarca. Monti gli crede, metà del PD dice no
Nel novembre del 2009 insieme alla maggioranza del senatori del Pd aveva presentato due disegni di legge (n. 1872 e n. 1873) intesi a riformare il sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva (il primo) e a disegnare un nuovo diritto del lavoro da applicarsi d’ora in poi a tutti i rapporti di lavoro dipendente (il secondo) concludendo la fase del dualismo fra tempo indeterminato e determinato
Nel maggio dell’anno successivo, la conferenza programmatica del partito democratico decise di non farne nulla: i due testi vennero accantonati perché non graditi ai delegati e alla maggioranza del partito. L’opinione dei senatori firmatari (55 su 106) non contava più niente. Anzi, l’idea di Pietro Ichino, estensore delle due proposte era “largamente minoritaria” nel partito secondo il responsabile cultura e informazione Matteo Orfini (dalemiano), e foriera di “fatue illusioni” per stare a Stefano Fassina, il dirigente piazzato da Bersani a capo del settore economia e lavoro dei democrats.
In mezzo fra le due date c'era stata addirittura una telefonata di Silvio Berlusconi il quale, folgorato dalle idee del professore, gli aveva proposto di entrare nel suo quarto governo. "Condivido tutto quello che scrive sul Corriere" gli aveva detto suadente. E lui di rimando: "Presidente, non basta che lei sia d'accordo con le mie proposte di politica del lavoro; occorrerebbe anche che io fossi d'accordo con lei su tutto il resto, a cominciare dal fisco e dalla giustizia". E non se ne era fatto nulla: al welfare andò Sacconi del quale secondo Ichino "si può dire tutto ma non che sia l'uomo del dialogo tra destra e sinistra sul tema delle relazioni sindacali".
Intanto, però, la diffidenza verso il professore, nel Pd, cresceva, fino a quando, di fronte alla pretesa dell'ala liberal del Pd di ottenere le dimissioni di Fassina, il segretario Bersani ha deciso di fischiare il time out per rimettere ordine nel partito. Non sarà facile, perché la materia è incandescente.
Partita chiusa per Ichino? Tutt’altro. Le sue idee, soprattutto quella di una maggiore flessibilità dei rapporti di lavoro sono state riprese da Mario Monti nel discorso d’investitura al Senato, quando il neo presidente del Consiglio ha proposto il superamento dell’attuale dualismo delle regole di un mercato del lavoro "dove alcuni sono fin troppo tutelati mentre altri sono totalmente privi di tutele e assicurazioni in caso di disoccupazione".
Da allora, sull’onda del discorso programmatico, il senatore Ichino si è scatenato: interviste, articoli, dichiarazioni, polemiche: i suoi interventi ormai non si contano. E battono su un solo tasto: d’ora in poi “la sicurezza economica e professionale della persona che lavora non dovrà più essere costruita sull’ingessatura del posto di lavoro, ma sulla garanzia di continuità del reddito e dei servizi di assistenza intensiva nel passaggio dalla vecchia occupazione alla nuova” (Corriere della Sera, 19 novembre). Come? L’esempio che Ichino ripete ad ogni piè sospinto è quello della flexsecurity, sicurezza flessibile, applicato dalla legislazione sul lavoro in Danimarca, dove, in cambio di una maggiore facilità di licenziamento dei nuovi assunti, il costo del trattamento economico e assicurativo riservato al lavoratore licenziato è diviso fra Stato e imprese; il lavoratore viene immesso in un percorso di riqualificazione al termine del quale gli verranno presentate nuove proposte d’impiego.
Insomma, smentendo William Shakespeare, secondo Pietro Ichino c’è del buono in Danimarca; e, quel che più conta, il neo ministro del welfare Elsa Fornero sembra d’accordo con lui.
Ora si sta per passare dalle parole ai fatti, e ciò vale anche per la flexsecurity alla danese. La settimana prossima si entra nel vivo: il Consiglio dei ministri di lunedì dovrebbe avviare il confronto sul tema del lavoro con una relazione del neo ministro; poi si passa alle commissioni parlamentari di merito. E c'è da giurare che Ichino non se ne starà con le mani in mano. Prevedendo polemiche all'interno del suo partito, il segretario del Pd Bersani si è detto anche disposto ad ingoiare "bocconi amari" a patto che Monti mantenga l'impegno per l'equità sociale enunciato alle Camere. E Monti, quando a Bruxelles ha detto che nell'azione del suo governo "non ci devono essere tabù" non si riferiva probabilmente solo agli eurobond, ma anche al complesso della legislazione sociale ed economica.
Insomma, si vedrà. Il governo vorrebbe arrivare ad una soluzione di questo e di altri problemi entro l'anno, per sfruttare il momento magico di un consenso che per ora c'è ma domani chissà. Ma i sindacati stanno con gli occhi aperti. Niente delega in bianco.
Guido Bossa