22/04/2013

Rami secchi o generosi coprotagonisti nel guado della crisi dell’editoria?
E’ possibile far rinascere il mensile “Il Giornalista-pensionato"

Lo confesso: gli ultimi avvenimenti un tantino di crisi d’identità me lo stanno insinuando.  Fino a spingermi verso l’amletica domanda: ma noi chi siamo in realtà? Gli arrabbiati di sempre ci fanno i conti in tasca e senza mezzi termini ci chiamano “rami secchi”. Re Giorgio Napolitano, presidente del club, ne ha scelti una decina e ha loro appuntato sul bavero la spilletta di “saggi”


D’accordo, Dario Fo, un altro di noi, quei Dieci li ha definiti “mammozzi”, ma questo non dà risposte certe: il mio (nostro) straniamento rimane. Vuoi vedere che, alla fine, la dicono giusta quanti con brutale efficacia ci considerano dei puri e semplici “rinco…”? Mbah! E però, la corrida per il Colle si è combattuta fra due ottuagenari(Marini-Rodotà) con l’intermezzo del “giovane” Prodi (74 anni) ed epilogo forzoso con l’under 90 Napolitano. E allora, siamo utili o siamo da gettare al macero? Io la penso così: la politica, quand’è in crisi, ha l’umiltà di chiedere aiuto (e sacrifici) ai suoi pensionati. E noi?
Intanto, pur nei limiti delle possibilità individuali, noi pensionati del contado la nostra funzione di “sussidiarietà” temporale nei confronti dei nostri figli precari nel lavoro e pressoché scoperti di welfare, la stiamo svolgendo. Ecco un punto che mi piace chiarire: è vero – tenuta Inpgi permettendo - siamo i fortunati titolari di più o meno dignitosi ratei pensionistici, ma non è che questi eurini ce li mettiamo sotto il materasso o ce li bruciamo in strisciate di “gratta e vinci”. Li mettiamo in circolo, diamo una mano ai nostri ragazzi in attesa che…l’intero sistema post Fornero (diciamo così) entri a regime. O venga ridisegnato in meglio. Nel frattempo facciamo da mini enti sussidiari, oserei dire che siamo naturalmente diventati quasi un casereccio Terzo Settore in una società che va dolorosamente riformandosi. Voglio dire, insomma, che un ruolo di traghettatori tra il vecchio e il nuovo lo stiamo interpretando. Lo so, è una sussidiarietà anomala, ingiusta, addirittura caritatevole verso le nuove generazioni, certamente immorale, ma allo stato, e per quanto ci riguarda, è l’unica possibilità offertaci. A ben vedere, col nostro rateo facciamo una ragionieristica partita di giro nel guado di una professione aggredita, e stordita, da innovazioni tecnologiche fin qui  snobisticamente misconosciute da gran parte di noi giornalisti che si sono ritenuti declassati al ruolo di “operatori dell’informazione”. Basti andare indietro con gli anni e ricordare gli sbandanti passaggi dal piombo all’offset e da questo alle ultimissime rivoluzioni tecnologiche cui si vuole caricare tutte le responsabilità dell’attuale crac dell’informazione.
Ma qui rischio di andare furi tema. O forse, no. Dopo tutto, sto rivangando peccati di gioventù cui ora occorre porre rimedio: ciascuno con gli strumenti di cui dispone. Come dicevo, noi pensionati, in attesa di una sistemica riforma dell’editoria, possiamo solo fungere da partite di giro, da mini tamponatori. Da anziani non egoisti, ecco.
La stessa vicenda del Fondo di perequazione (da necessariamente confermare nel prossimo contratto di lavoro) che nelle rapide della crisi editoriale ha subito una forte modificazione genetica allontanandosi dalle precipue ragioni originarie, sta dalla parte del ragionamento fin qui fatto. Ho sempre sostenuto (sia pure coi diversi distinguo, condiviso da tutti i gruppi Ungp) che senza snaturarne lo stato anagrafico, ma modificandone alcuni caratteri genetici sotto lo tsunami della crisi, il Fondo andrebbe razionalmente spartito tra attuali e futuri pensionati: addirittura con un occhio particolare per le generazioni oggi ancora in attività. D’altro canto, il traccheggiamento del Comitato del Fondo la dice lunga sul solidarismo di noi pensionati alla ricerca di una soluzione, lo ribadisco, “non egoistica”.
Ecco perché, a dispetto dei soliti mugugni dei tanti colleghi-antisindacato ma pronti a intascarne le conquiste, ritengo indispensabile la sopravvivenza e un rinvigorito protagonismo dell’Ungp all’interno della Fnsi. Qualcosa da dire, e da fare, ce l’abbiamo anche noi: occorre, quindi, che la nostra voce si faccia grossa sotto il sostegno di tutti i giornalisti pensionati, compresi quanti non aderiscono all’Ungp. Per questo occorre resuscitare il mensile cartaceo, “Il Giornalista pensionato”, che le difficoltà economiche ci avevano costretto a mettere in momentaneo stand by. Se n’è parlato nel corso dell’approvazione del bilancio 2012 ad opera dei revisori dei conti Ungp; anzi, direi che è stata l’unica vera novità sotto la spinta del presidente Mario Petrina che ha prospettato la possibilità concreta di reperire un sufficiente budget pubblicitario per un mensile rinnovato anche graficamente. Le idee ci sono, i propositi non mancano e, stanti gli oltre 5.000 giornalisti pensionati, non dovrebbero difettare nemmeno i redattori interessati.

Paolo Aquaro, esecutivo Ungp