15/01/2013
Prosegue il dibattito sul Fondo di perequazione
Mario Talli: "Oggi è per noi, domani servirà a chi versa oggi"
Credo sia utile proseguire il dibattito sul funzionamento del Fondo perequativo. L'argomento è non solo importante ma è sopratutto innovativo per una categoria come la nostra, per cui sono più che comprensibili le diversità di punti di vista e le discussioni fra di noi. E' in questo spirito che ti sottopongo alcune mie considerazioni personali - non ascrivibili dunque al Gruppo toscano - sulla questione. Hanno indubbiamente ragione quei Gruppi e quei colleghi che, come ad esempio Brozzu, sostengono che la discussione su quello che dovrà essere il funzionamento del Fondo – che io continuo a giudicare una grande conquista - si svolge partendo ormai da premesse diverse rispetto alle intenzioni iniziali. In modo un po' semplicistico e approssimativo eravamo partiti nell'ottica di un risarcimento dei danni pesantissimi arrecati alle nostre pensioni dall'inadeguato meccanismo di rivalutazione delle stesse rispetto all'aumento implacabile del costo della vita. (Il successivo blocco pressoché generalizzato per due anni del meccanismo in questione, aggrava ancor più la situazione)
I presupposti, dunque, erano chiari. Meno limpido, dobbiamo riconoscerlo, era il punto relativo al finanziamento. Si ipotizzava genericamente di attingere, come ovvio, dalle risorse dell'Inpgi e da alcune voci meno “strutturate” del suo bilancio, come ad esempio la “donazione” della Banca che effettua il servizio di tesoreria. Non so e comunque non ricordo se all'epoca si pensò ad iscrivere in bilancio il finanziamento del Fondo e se sarebbe stato eventualmente possibile a termini di legge.
La soluzione individuata successivamente, formalizzata con tutti i crismi e addirittura contrattualizzata, che pone a carico dei giornalisti attivi la dotazione finanziaria del Fondo mediante il ristorno di una modesta somma di danaro prelevata dalle loro retribuzioni in misura uguale per tutti, ha cambiato completamente le carte in tavola.
Per un momento mi ha ricordato mio padre, marmista artigiano e socialista riformista, che alla fine dell'800 fu tra i promotori nel mio paese di nascita di una delle prime leghe operaie di mutuo soccorso, genesi delle future associazioni cooperativistiche nonché delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Il salto nella memoria si è tuttavia esaurito in pochi istanti, essendo impossibile qualsiasi ragionevole raffronto. In quel caso la raccolta del denaro e il suo uso successivo era molto più semplice per la sostanziale uniformità delle condizioni economiche – assai precarie, spesso al limite della povertà - e della posizione nella società dei soggetti interessati. Molto più complicata appare invece la gestione di un istituto analogo in una situazione come la nostra, incomparabile da tutti i punti di vista, da quello economico di partenza, alle differenze talvolta sostanziose tra i diversi soggetti, a quello del posto occupato dai medesimi nella società.
Come non bastassero le differenze di cui sopra, un'altra complicazione, sostanziale ma anche psicologica, deriva dal fatto che in prima battuta e per un certo periodo di tempo soltanto una parte dei soggetti interessati – gli attuali giornalisti pensionati, oggigiorno considerati, secondo un pregiudizio di comodo insistente quanto fasullo, alla stregua di tutti gli altri pensionati, dei privilegiati rispetto alle nuove generazioni - sarebbero gli esclusivi beneficiari di uno strumento funzionante solo in virtù del sostegno finanziario dei pensionati futuri, ossia proprio dei colleghi più giovani, le cui aspettative, per giunta, appaiono meno tranquille e solide rispetto a quelle che furono le nostre, carovita a parte. Pur se è vero - non è una furba trovata per far “digerire” ai colleghi in attività il loro modesto esborso - che proprio per questo il Fondo perequativo servirà nei prossimi anni sopratutto a loro.
Anche con tutte queste distinzioni e avvertenze il Fondo rimane a mio avviso uno strumento sostanziale e simbolico importante, del tutto in linea, inoltre, con gli altri istituti che la categoria ha saputo darsi prima con l'Inpgi (caso quasi unico di piena funzionalità rispetto agli analoghi istituti di altre categorie professionali) e poi con la Casagit. Se inserito in questo contesto e visto secondo questa prospettiva, il Fondo perde quasi automaticamente la caducità insita nella generica ipotesi originaria (di cui sono stato, insieme ad altri colleghi – in primis l'ex presidente Iselli - un convinto propugnatore), per acquisire caratteristiche ben più funzionali e durature, che richiedano e giustifichino magari forme più significative di autofinanziamento. Penso, ad esempio, ad un finanziamento “in partenza” non più in misura fissa bensì in proporzione allo stipendio e a una redistribuzione invece uguale per tutti “all'arrivo”, in modo da accentuarne il carattere solidaristico.
Tutto questo, partendo però da una necessaria premessa: il Fondo così concepito dovrebbe servire esclusivamente e tassativamente a proteggere le pensioni dei giornalisti professionisti presenti e futuri dall'azione funesta del carovita e da altre eventuali criticità. Per non alterarne la fisionomia, altri eventuali interventi di tipo assistenziale o di natura consimile dovrebbero essere rigidamente esclusi, appartenendo semmai ad altri istituti della nostra categoria.
Mario Talli (Comitato Esecutivo Ungp)