28/09/2012

Lino Zaccaria: "Così com’è oggi la 416 ha fatto il suo tempo"

L’editoria italiana sta scoppiando e le cause sono molteplici e note. Il progressivo smantellamento del sistema impostato su un’occupazione stabile disciplinata dal contratto nazionale di lavoro giornalistico può produrre, in tempi medio-lunghi, ripercussioni gravissime sulla tenuta dell’Inpgi.
E’ evidente, infatti, che le rassicurazioni fornite al ministro Fornero (e dalla stessa finalmente recepite) sulla compatibilità dei conti per i prossimi 50 anni, erano e sono il frutto di calcoli attuariali che non prevedevano e non potevano prevedere, un ricorso così massiccio da parte delle aziende editoriali, come è avvenuto nell’ultimo biennio, alle ristrutturazioni aziendali contemplate dalla legge 416


D’altronde le perplessità recentemente sollevate dalla Corte dei Conti, che sottolineava la circostanza del saldo previdenziale negativo tra il 2023 e il 2040, fungono da campanello di allarme che sarebbe stolido sottovalutare.
Il sindacato, pertanto, dovrà a mio avviso battersi perché in futuro il legislatore intervenga per stemperare gli effetti perversi di questa prassi che sconvolge gli equilibri dell’Inpgi e l’assetto occupazionale in genere.
Può partire dall’Ungp un’azione di stimolo tesa a porre all’attenzione del governo e del Parlamento l’insostenibilità di una situazione generata dall’applicazione indiscriminata di una legge, appunto la 416 del 1981, all’epoca pensata e strutturata per il raggiungimento di ben altri e più nobili fini. Oggi è stata trasformata dagli editori in una gigantesca forbice che serve solo a tagliare posti di lavoro e a coprire il fallimento gestionale di tanti manager improvvisati che hanno ritenuto di poter amministrare le imprese editoriali alla stessa stregua di una fabbrica che produce barattoli di pomodori pelati. Quanti capi del personale seppur ex yuppie ( i giovani professionisti rampanti degli anni ’80) e reduci magari da master in America, hanno compreso in questi anni che il giornale è un prodotto ogni giorno diverso e che le aziende andavano modulate su questa imprescindibile condizione? Nessuno. Era è ed è per loro più facile imboccare la strada della 416, che in un sol colpo taglia le teste di tutti gli ultracinquantottenni, senza badare assolutamente alle ripercussioni sulla qualità del prodotto, privato all’improvviso di quell’irrinunciabile bagaglio di esperienza e di avvedutezza professionale che serve a qualificare il contenuto di un qualsiasi giornale, grande, medio o piccolo.
Ma quelle regole di trenta anni fa, ideate per tutte le aziende, non solo editoriali, oggi non hanno più senso: il tetto dell’età pensionabile è stato portato, dall’Inpgi, a 65 anni per gli uomini e in tempi più lunghi diventerà questa la meta anche per le donne. Non ha senso, pertanto, mantenere l’età per il prepensionamento ex legge 416 a 58 anni. Di fatto si attribuisce agli editori, visto che il Ministero finisce con l’approvare tutte le richieste di stato di crisi, la facoltà di eludere la legge e di fissare, nella prassi, un’età pensionabile assolutamente incongrua rispetto al panorama nazionale, non solo giornalistico.
E a tal proposito vale la pena di ricordare che l’Inpgi, in questo campo, ha precorso i tempi, anticipando di mesi i risultati cui è pervenuto il governo Monti. Portare a 60 anni (e magari anche a 62) l’età minima pensionabile in riferimento agli stati di crisi aziendale è un obiettivo che può diventare oggetto di un impegno ufficiale, in termini ovviamente di proposta e di promozione mediatica, da parte dell’Ungp.
E sempre argomentando sulla 416 appare del tutto immotivato il ricorso sistematico di alcune aziende che vanno per la maggiore agli stati di crisi (che oltretutto comportano da qualche anno, in base all’ultima riforma, rilevanti esborsi da parte dello Stato e quindi di tutti i cittadini). In qualche caso, si è verificato recentemente, scaduti i termini di validità di un decreto del Ministero si è proceduto ad una successiva richiesta (peraltro subito accolta) solo dopo pochi mesi. Sarebbe pertanto indispensabile inserire una nuova norma che fissi dei paletti temporali, per lo meno di due anni, tra la fine di uno stato di crisi e l’avvio delle procedure per la richiesta di un successivo. Anche questo può diventare un obiettivo che la nostra Unione può perseguire, sempre in funzione di stimolo e in sintonia con la Fnsi e che può identificarsi come “cavallo di battaglia” del nostro impegno per i prossimi mesi.
Esporrò queste considerazioni alla prossima riunione del Direttivo Ungp, fiducioso che lo stesso si compenetrerà nelle esigenze rimarcate e possa farne un punto qualificante del suo programma.

Lino Zaccaria
Vice Presidente Ungp