28/02/2012

Il governo impone tasse improprie sul risparmio previdenziale
mentre le pensioni sono esposte all’erosione monetaria

Mario MontiLa richiesta alle gestioni collettive di risparmio previdenziale (casse gestite da fondazioni ed enti ad amministrazione elettiva) di costituire riserve per 50 anni – in luogo dei 20 o 30 oggi praticato – non è oggetto di discussione pubblica nel merito. Lo sostiene “Storiaaperta Oggi”, settimanale di informazione socioeconomica diretto da Renzo Stefanelli.
Queste gestioni, impropriamente dette “privatizzate” in quanto autonome, sfuggite alla commassazione nell’Inps, sono sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria vecchiaia e superstiti ed in quanto tali sottoposte a sorveglianza da parte del ministero del lavoro. Il fondamento della loro autonomia, tuttavia, è il fatto che capitalizzano una parte dei contributi e li investono. Quando cessassero di farlo, cesserebbe anche il presupposto della loro autonomia perché “altri” dovrebbero sostituirsi nella garanzia delle prestazioni


La costituzione di riserve a copertura delle prestazioni prevedibili a 20 o 30 anni può avere dei rischi ma ha una base conoscitiva. Sono possibili delle proiezioni dei tassi di mortalità (il “taglio delle teste” dell’assicurazione), del numero degli iscritti contribuenti, dei rendimenti ottenibili con l’investimento. A cinquanta anni qualunque previsione del genere è puro arbitrio: dove sono i demografi che possono fare una previsione affidabile, gli attuari che possano redigere delle tabelle di mortalità, gli economisti che possono  prevedere la composizione delle professioni fra 50 anni?
A molti degli attuali iscritti-contribuenti viene richiesto di sottoscrivere una polizza per anni in cui non saranno più in vita sulla base di ogni più ottimistica previsione.
Per proporre una tale sovratassa su questo tipo di risparmio – non su altre tipologie – sono state espressi dubbi sulla funzionalità delle riserve. Gli amministratori hanno la responsabilità di avere lasciato proliferare questi dubbi. Dal lato della consistenza, i bilanci attuariali a 20 o 30 anni possono essere regolati in modo più rigoroso. Non vi è motivo per lasciar correre riserve occulte o sopravalutate iscrivendo immobili a prezzi diversi da quelli rilevabili su periodi congrui. Le vendite e gli acquisti possono essere gestiti con verifiche rigorose. Quando i rendimenti scendessero sotto medie congrue può scattare l’indagine di verifica.
La tendenza a trasformare le riserve in manomorta crea una zona grigia e non è casuale. Il punto di partenza è stato il rifiuto, a colpi di legge, di rivalutare le pensioni annualmente: da un lato vi sono quote di contribuzioni investite che producono un reddito; dall’altro pensioni che sono esposte ad erosione monetaria. Comodo. Solo che le riserve esistono per il motivo opposto: stabilizzare il reddito di chi ha conferito il risparmio previdenziale. Le riserve entrano in gioco, a maggior ragione, quando una crisi profonda e prolungata incide negativamente sulla massa dei contributi correnti. La crisi fa scattare l’allarme, richiede risposte nel senso di difendere, allargare, aumentare la massa contributiva. Si possono indicare traguardi, scadenze. Le riserve però devono entrare in funzione come stabilizzatori. Il Governo ha invece proposto la riduzione dell’1% delle pensioni in essere – una tassa simbolica: qui comando io e si fa come mi pare – nel caso di una insufficienza della massa contributiva di un singolo anno e che potrebbe essere riassorbita in due o tre anni da misure opportune.
Da parte degli amministratori di questi enti e casse, nonché degli iscritti quando in grado di partecipare, c’è opportunismo ed errore nel sottovalutare ogni trattamento fiscale discriminatorio. Il “privilegio dell’autonomia” voleva essere, in principio, pagato da un’assunzione di responsabilità. “Non siamo nell’Inps perché vogliamo provvedere noi stessi all’equilibrio contributi-redditi-prestazioni”. Questo è il senso della elettività dei consigli di amministrazione. Si tratta di una dissociazione polemica da quei Sindacati che hanno consegnato l’Inps allo Stato esponendo i contributi a diventare massa di manovra della finanza pubblica. Questa posizione va però esplicitata a ribadita a ogni passo: anche quando si estendono alle gestioni a capitalizzazione le espropriazioni via fiscal drag. L’intervento legislativo deve fermarsi laddove c’è un’autonoma assunzione di responsabilità del cittadino: articolo 118 Costituzione “della sussidiarietà”.
Alla Corte Costituzionale dovrà arrivare,in ultima istanza, tutta la questione della  tutela del risparmio,della discriminazione fiscale,della sussidiarietà.