30/11/2020

Quando l’obbligo della Pec diventa un problema


Pochi giorni fa a Trento un collega ha compiuto 90 anni, vive alla casa di riposo e mi sono informato delle sue condizioni di salute. Mi è stato detto che sta abbastanza bene e me ne sono rallegrato invitando un comune amico a portargli i miei auguri e nel contempo invitandolo a non preoccuparsi quando riceverà la notifica che sarà diventato un “giornalista sospeso”. Dubito infatti che l’acquisire la mail pec sia in cima ai suoi pensieri. Sono sicuro che invece si dorrà della sua sospensione, perché a lungo è stato partecipe della vita del giornalismo tanto che dal 1986 al 1998 è stato eletto al Consiglio nazionale dell’Ordine.

C’è quindi il possibilità, “dura lex sed lex”, che la nostra categoria possa fregiarsi di avere un novantenne sospeso perché non avrà notificato alla segreteria del proprio Ordine le coordinate della propria mail di posta elettronica certificata. Il tutto per effetto dell’entrata in vigore della legge 11 settembre 2020, n. 120; “conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali (Decreto Semplificazioni). (G.U. n. 228 del 14 settembre 2020)”.

Va ricordato che l’obbligo della pec per i giornalisti, alla pari di tutti gli iscritti ad albi professionali, risale al 2009. Era però una norma zoppa: prescriveva la pec, ma non assegnava una sanzione per chi non se ne fosse dotato. Adesso la sanzione è arrivata con la legge 120 entrata in vigore il 15 settembre scorso. Si tratta della “sospensione” dalla professione per chi della pec non ne vuol sapere.

A tal proposito sul sito dell’Ordine nazionale si legge “gli iscritti dovranno attivare una pec e comunicare l’indirizzo all’Ordine regionale di appartenenza. Nel caso in cui ciò non avvenga l’Ordine procederà all’invio di una diffida ad adempiere entro 30 giorni. La mancata ottemperanza alla diffida comporterà la sospensione dall’Albo fino alla comunicazione dell’indirizzo di pec”. La sospensione, va ricordato, impedisce di esercitare la professione.

La legge è uguale per tutti, ovviamente, anche per i novantenni.

Se la legge è questa, nella realtà cresce l’incredulità. Ricordandosi che sono un segretario di lungo corso dell’Ordine regionale, alcuni colleghi pensionati si sono rivolti a me per chiedermi se proprio devono adempiere all’obbligo. Ho risposto affermativamente segnalando che in fondo non è un gran disturbo soprattutto per chi, pur da pensionato, continua a svolgere l’attività giornalistica. 

Ho poi pensato che tra coloro che mi hanno telefonato erano in prevalenza giornalisti pensionati che da tempo avevano lasciato ogni attività e che solo “per affezione” desiderano rimanere iscritti all’Ordine professionale anche perché, in questo modo, restano legati allo slogan “giornalisti per sempre”.

Cosa fare quindi per superare questa impasse? 

Serve una autocertificazione di essere pensionati e di avere interrotto l’attività professionale? 

Questa è una via solo all’apparenza sbagliata.

E’ vero che fa scattare l’articolo 41 della legge di Ordinamento della professione (legge 3 febbraio 1963, n.69), il quale, sintetizzando, prevede che dopo due anni di inattività l’Ordine può cancellare dagli elenchi. Ma nel medesimo articolo c’è un comma che costituisce una via di scampo: non possono essere cancellati i giornalisti che hanno più di 15 anni di iscrizione. E’ palese che i pensionati i 15 anni li hanno più che oltrepassati. 

Da come però è scritta la nuova legge si capisce che non ci sono varchi: o hai la pec, o sei sospeso.

Ma quando un giornalista “merita” la sospensione? L’articolo 54 della legge del 1963 recita che la sospensione “può essere inflitta nei casi in cui l’iscritto con la sua condotta abbia compromesso la dignità professionale” Domanda: non avere la pec compromette la dignità professionale? Mi sembra offensivo il solo pensarlo. E poi, quando il Consiglio di disciplina sospende un collega lo fa dopo averlo sentito e la sanzione va di solito tra i due e i sei mesi. Invece la sospensione provocata dalla pec teoricamente si estende anche all’infinito, ossia fino a quando non si comunica la pec. “Fine pena mai” direbbe un ergastolano.

Ma può esserci una simile indeterminatezza e disparità di sanzione tra la sospensione per avere compromesso la dignità professionale e l’avere compiuto una irregolarità burocratica amministrativa? 

Buon senso sarebbe cercare una mediazione. Ossia i giornalisti pensionati inattivi (con più di 15 anni di iscrizione) dovrebbero poter comunicare ai propri Ordini regionali di avere interrotto l’attività, assicurando che se dovesse essere ripresa si sarebbero messi subito in regola. Sarebbe un modo per superare il problema della pec.

E’ buon senso, ma la legge è una ghigliottina: la pec, o ce l’hai ,o non ce l’hai, anche a 90 anni. In controluce dietro a questa secca prescrizione sembra di leggere un “chissenefrega”.

Un chissenefrega non può però né dirlo, né pensarlo, chi ha già acquisito la mail pec. Non può cioè non curarsene, non può non controllare i messaggi in arrivo. Per due ragioni. 

La prima: le comunicazioni dell’Ordine saranno tutte in pec.

La seconda: tramite pec vengono notificate le contravvenzioni stradali ed altri atti formali. Si sa che le multe pagate in ritardo costano molto di più.

C’è poi un aspetto “numismatico”. Il giornalista sospeso non è tenuto a pagare la quota di iscrizione. Ci stiamo avvicinando al mese di gennaio, periodo in cui gli Ordini raccolgono le quote annuali: i tesorieri non saranno entusiasti di avere tanti colleghi sospesi.

Una previsione: tra poco aumenteranno le categorie dei giornalisti: professionisti, pubblicisti e sospesi. Hai 90 anni? Chissenefrega.

Mauro Lando