21/11/2020

Lutti all’Ungp Piemonte


In nemmeno una decina di giorni l'UNGP Piemonte si è trovata a dare l'addio a tre colleghi carissimi e preziosi: Claudio Cerasuolo, Angelo Caroli e Roberto Franchini.

Cari e preziosi, ognuno con la propria personalità. 

Claudio Cerasuolo era affettuosamente soprannominato il «principe della giudiziaria».  Alto, elegante, conosceva tutti e tutti conoscevano lui e la sua correttezza che, nell’ambito della professione, non era scontata. Nella sua vita, in particolare negli anni della pensione, ha scritto una montagna di libri, soprattutto gialli, saggi e di cucina. Se n'è andato a 80 anni «per un brutto male» purtroppo.

Fino al momento del lockdown della scorsa primavera, lui e Roberto Franchini erano sempre presenti alle nostre riunioni mensili dei pensionati, pronti a dare il loro contributo e a mettere in campo le loro idee.

Angelo Caroli aveva 83 anni, si è spento nella casa di riposo dove da anni era ospite per una malattia degenerativa che a poco a poco lo stava consumando e che troppo presto lo aveva isolato dal suo mondo. Era un cronista sportivo "vecchia maniera" dal sorriso pacato e le buone maniere. Era stato anche calciatore della Juventus ai tempi di Sivori e Charles e con loro vinse anche uno scudetto segnando un gol decisivo di cui andava molto fiero. Negli anni di quiescenza si impegnò nella vita del Circolo della Stampa-Sporting e in qualità di vicepresidente organizzò mostre di fiori e piante, auto storiche, concerti jazz e manifestazione a favore dell’associazione Amici Bambini cardiopatici del Regina Margerita. Scrisse anche diversi libri gialli. 

L'ultimo a lasciarci, mercoledì 18 novembre è stato Roberto Franchini, collega da sempre impegnato nel sindacato e che forse alcuni di voi hanno conosciuto. 

Di lui Vi unisco un bel ritratto scritto da Alessandra Comazzi, giornalista de La Stampa e ex Presidente dell'Associazione Stampa Subalpina.

Per tutti e tre il commosso cordoglio dell'UNGP Piemonte
Tiziana Longo, Stefanella Campana, Giacomo Mosca, Beppe Rovera, Adriano Torre


di Alessandra Comazzi

Ciao Roberto, e grazie, da tutti noi.

Erano tempi di assemblee, partecipate, vissute, combattute. Fine Anni Settanta, Anni Ottanta del Novecento. E Roberto Franchini, morto a 85 anni questa mattina, 18 novembre, era un combattente signore e un signor combattente: lo ricordo con la sua voce tonante mentre analizzava in perfetta lucidità, con eloquio fluido e fiorente, le situazioni sindacali, i rapporti con la proprietà, le ipotesi di nuovi contratti. Le tragedie, anche. Nel 1977 fu ucciso Carlo Casalegno, vicedirettore de La Stampa, le minacce fioccavano. E' sempre stato una figura di primo piano, per l'Associazione Stampa Subalpina e anche per la Fnsi. Seguiva il sindacato con passione, come con passione faceva il giornalista. 

Franchini arrivò a Torino da Verona alla fine dei Sessanta, faceva parte di quella importante leva di giornalisti veneti «importati» in Piemonte, lui, Stefano Reggiani, Claudio Cerasuolo, Alberto Papuzzi, Franco Giliberto. Fu capo del settore Esteri, e poi di tutte le Province, così si chiamavano allora: quando il direttore Arrigo Levi decise di dedicare due pagine a ogni provincia del Piemonte, ampliando la cronaca che fino ad allora veniva realizzata soltanto per due aree di confine, il Novarese e la Liguria, lui ne fu il responsabile plenipotenziario. La risposta di Levi all'attentato terroristico era stata aumentare il lavoro, la produzione. Inventare nuove pagine, che allora si realizzavano tutte a Torino: sarà soltanto con Gaetano Scardocchia, nel 1989, che avverrà il decentramento. Dunque il capo delle Province era Roberto Franchini. Si assunsero tanti giovani, ma giovani davvero: tra loro, io ero la più giovane, avevo appena compiuto 21 anni, sembra fantascienza, adesso, e entrai alla Stampa con quel drappello di colleghi dagli occhi luccicanti. Quando mettemmo piede per la prima volta in redazione, il 1° febbraio 1978, Roberto era lì ad accoglierci, con la sua mole possente e la sua gentilezza, e ci fece fare il giro di tutti i settori, ci presentò tutti i colleghi. Cosa non scontata, per niente.

E fu un maestro, per tutti noi. Ma davvero, fuori di retorica. Sapeva essere velocissimo, e agilissimo (ballava molto bene), ma sapeva anche prendersi i propri tempi: certo lontano, il suo, dal giornalismo degli slogan. Aveva una moglie amatissima, Nora, e una figlia, Anna, e una casa a Bardolino, perché il suo Veneto gli era rimasto nel cuore. Fumava la pipa, pensava prima di parlare, ma sapeva anche essere secco, tagliente come una lama. Come ancora possono ricordare alcuni suoi colleghi di giunta Fnsi, come lo ricordiamo alla Stampa, come lo ricordiamo alla Subalpina. 

Ciao Roberto, e grazie, da tutti noi.