30/06/2020
Epidemia, anziani, accesso alle cure: un invito a riflettere
Interventi di Squillace e Disnan
Nel Comitato esecutivo dello scorso 8 giugno il consigliere Virgilio Squillace ha ricordato il dibattito che nei mesi di maggiore diffusione dell’epidemia da Covid-19 si è sviluppato sui giornali e non solo sui criteri anche deontologici dell’applicazione delle terapie in situazioni d’urgenza e/o di carenza di presidi sanitari adeguati. Si è parlato di “medicina selettiva” e di gerarchia degli interventi terapeutici da effettuare anche in considerazione della speranza di vita dei pazienti. E’ una questione che non può non riguardarci come giornalisti e come anziani. Nel dibattito che ne è seguito sono intervenuti con proposte e suggerimenti Patrizia Disnan, Claudio Mazza, Paolo Baggiani, Guido Bossa. Si è convenuto che il confronto delle idee proseguirà sul sito dell’Ungp. Baggiani ha proposto di organizzare un corso di aggiornamento professionale sull’argomento.
Apriamo il dibattito con gli interventi di Virgilio Squillace e Patrizia Disnan.
Virgilio Squillace
Non è una predica; è un invito a riflettere. Durante l'emergenza da Covid-19 tutti abbiamo inteso, saputo, letto, degli anziani tenuti fuori dalle cure nei reparti di terapia intensiva perché c'erano pochi posti letto, destinati dunque alle persone più giovani e con maggiore aspettativa di vita.
Ho trovato alcune cose, che riporto. La prima è un documento della Siaarti - Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva, pubblicato il 6 marzo scorso all'inizio della fase più critica della pandemia. E' un testo in 15 punti destinato ai primari di T.I. dal titolo “Raccomandazioni di etica clinica per l'ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”. I rianimatori sono consapevoli del fatto che - con l'aumento dei casi di insufficienza respiratoria acuta - saranno posti davanti a scelte non facili nei reparti di terapia intensiva per il determinarsi di “un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive”.
Lucidamente i sanitari prevedono “uno scenario in cui potrebbero essere necessari criteri di accesso alle cure intensive (e di dimissione) non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate”.
Al punto 3 delle Raccomandazioni il documento è estremamente chiaro: “Può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in T.I. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un'ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone. In uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio di “first come, first served” equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla terapia intensiva”.
Il 4 giugno scorso il Corriere della sera ha pubblicato con evidenza un articolo di Pietro Gorlani che racconta la vicenda dell'ex deputato di “Scelta civica” Mario Sberna, 59 anni, contagiato dal virus e ricoverato il 16 marzo precedente nei locali della lavanderia dell'Ospedale civile di Brescia adibita a reparto Covid. Spiega l'ex deputato: “Sono ancora vivo grazie alla bombola d'ossigeno che un'infermiera ha tolto al mio vicino di letto 80enne per darla a me. Ricordo quell'anziano ogni giorno nelle mie preghiere”. Mario Sberna torna a quella notte: “Davanti a me c'era un anziano rannicchiato su un fianco, in silenzio da ore. Quando mi hanno dato il suo ossigeno mi sono sentito rinascere. Ma non riuscivo a distogliere gli occhi da lui. Respirava ancora. Poi l'hanno portato via in ambulanza”. “Non avrei nemmeno la possibilità di dimostrargli la mia gratitudine perché la sua non è stata una scelta volontaria. Non gli hanno chiesto se voleva morire. Gli hanno tolto la maschera e basta”. Sberna precisa: “In quello scantinato adibito a reparto eravamo in trenta, tutti con una fame incredibile di ossigeno. Ma c'erano solo tre bombole”.
Nei giorni scorsi di fronte alle tante morti di anziani in istituto durante l'emergenza da coronavirus, la Comunità di Sant'Egidio è scesa in campo con un appello internazionale contro quella che definisce “una sanità selettiva”. Nel testo si legge: “Sta prendendo piede l'idea che sia possibile sacrificare le loro vite in favore di altre. Papa Francesco ne parla come “cultura dello scarto”: toglie agli anziani il diritto ad essere considerati persone, ma solo un numero, ed in certi casi nemmeno quello”. E ancora: “In numerosi paesi di fronte all'esigenza della cura, sta emergendo un modello pericoloso che privilegia una “sanità selettiva” che considera residuale la vita degli anziani. La loro maggiore vulnerabilità, l'avanzare degli anni, le possibili altre patologie di cui sono portatori, giustificherebbero una forma di “scelta” a favore dei più giovani e dei più sani. Rassegnarsi a tale esito è umanamente e giuridicamente inaccettabile”. Sottoscritto già da molte importanti personalità nel mondo (fra gli altri Matteo Zuppi arcivescovo di Bologna, Romano Prodi, Giuseppe De Rita, e Felipe Gonzales, Manuel Castells, Jurgen Habermas) l'appello ribadisce con forza i princìpi della parità di trattamento e del diritto universale alle cure conquistati nel corso dei secoli.
Nella Costituzione la solidarietà è un diritto, ma anche un dovere. Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, nel suo instant book “Costituzione e Coronavirus - La democrazia nel tempo dell'emergenza” (Piemme) ribadisce che i doveri di solidarietà valgono nei confronti di tutte le persone umane “e soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli e bisognosi”.
Medici, infermieri, del cui impegno e dedizione la comunità civile non sarà mai abbastanza grata, non dovevano essere messi con le spalle al muro, e scegliere, a causa della scarsezza di attrezzature sanitarie nell'affrontare una pandemia che - si paventa! - potrebbe ripresentarsi con virulenza nella prossima stagione invernale. Nessuno - sia esso giovane, o anziano – dovrebbe scontare amaramente le carenze dell'amministrazione nella sanità. Perché di questo si tratta: il Sistema sanitario nazionale è fra i migliori al mondo, ma nell'emergenza da coronavirus ha evidenziato profonde lesioni in alcuni suoi pilastri. Sarebbe spaventoso se, nella malaugurata eventualità di una ripresa della pandemia, ci si trovasse di fronte alla medesima situazione dei mesi scorsi. Un'altra ecatombe di anziani no.
Come restare tranquilli in un Paese che, a cinque mesi dall'inizio dei contagi da Covid 19, ancora non riesce a coprire il fabbisogno di presìdi elementari come mascherine, guanti, visiere? Cosa accadrà quando verrà prodotto il vaccino? Sarà disponibile per tutti? E per chi prima, una volta vaccinati personale sanitario, forze di polizia e protezione civile? Scusate la franchezza: qualcuno si alzerà forse per sostenere che vaccinare i vecchi è uno spreco?
Eppure c'è chi sa bene come dalla salute dei più anziani e fragili dipenda la ripresa dei più forti. Ilaria Capua, veterinaria e virologa dell'Università della Florida, è intervenuta sul Corriere della sera: “Se le persone fragili non continueranno a rispettare le indicazioni di salute pubblica e inizieranno ad ammalarsi, non solo metteranno a repentaglio la loro vita, ma costituiranno un sovraccarico che il Sistema sanitario nazionale non potrebbe essere in grado di gestire. E che deve essere assolutamente evitato, anche perché abbiamo i nostri conti da pagare”. “Episodi significativi di malattia grave o di mortalità potrebbero indurre le autorità ad imporre un altro lockdown che paralizzerebbe di nuovo il tessuto produttivo”.
Attenzione agli anziani, dunque. E non solo per motivi etici: se si vuole evitare un nuovo e più grave tracollo trascinato dal sovraccarico del Servizio sanitario nazionale bisognerà prestare molta accortezza nell'aver cura dei vecchi. Chiedetelo a un giovane cassintegrato, in questi giorni, a che serve il babbo pensionato, e quanta vita gli augura ancora.
Ecco l'assurdo, il paradosso: la sfida di una certa logica pratica viene raccolta dallo scrittore spagnolo Idelfonso Falcones, che osserva sul settimanale La Lettura: “Di solito infatti sono proprio gli anziani coloro che hanno lavorato per più tempo e maggiormente contribuito alla creazione di un sistema che oggi li defenestra in virtù della logica di distribuzione degli oneri e benefici sociali. Su questa base è possibile che qualche anziano abbia dovuto cedere il proprio contributo a un'altra persona più giovane che forse in nulla ha contribuito alla creazione di una struttura sanitaria”.
Patrizia Disnan
Ogni sera nuove croci si aggiungevano. Si ascoltavano notiziari che lasciavano sgomenti e si vedevano scorrere sul video cifre impressionanti.
Ma...Nelle prime fasi dell'emergenza Coronavirus troppo spesso quel “ma” seguiva immediatamente il dato, che si impennava, delle vittime falcidiate dall'epidemia. Era una strage. Allora, forse con l'intento di attenuare l'impatto emotivo, al dato di cronaca, “erano anziani per la maggior parte o immunodepressi”, si agganciava quel “ma” che rappresentava già un giudizio sotteso. Una semplice congiunzione, eppure bastava a ferire. “Sono morti, ma erano anziani”.
Ci si è accorti dell'errore e si è corretto ribadendo che ciascuna vita è preziosa e che quelle morti lasciavano un vuoto incolmabile nelle famiglie e nelle comunità. Ma gli anziani si sono scoperti vulnerabili perchè bersagli per un nemico feroce e sconosciuto e anche proprio in quanto anziani. L'Italia intera si è fermata per salvare soprattutto i più deboli che rischiavano maggiormente, però ci si è sentiti svalutati.
Da giornalisti dovremmo pur saperlo che l'età conta: pensiamo al rilievo nei titoli e negli spazi che viene riservato in caso di morte naturale di un ventenne o di un ottantenne.
Non si può ignorare il fatto che la speranza di vita si riduce. In questo 2020 sono entrati in gioco due tabù: la vecchiaia e la morte. Oltre alla paura del contagio e della malattia.
Nessuno vuol sentirsi vecchio, ma nella nostra società non pare mai arrivare il momento di considerarsi anziani e l'età adulta si spinge sempre oltre. Molti anziani sono attivi e in forma. Altri vengono sottoposti a interventi chirurgici impegnativi malgrado l'età avanzata.
Bruscamente però a causa dell'epidemia che dilagava persino i sessantenni si sono scoperti fragili.
In quell'incubo divenuto realtà sono accadute cose terribili. Molti sono morti senza il conforto dei propri cari.
Medici e infermieri sono addestrati ad agire nel corso di catastrofi naturali, nei conflitti, per ottimizzare l'efficacia di uomini e mezzi. Di fronte a casi ugualmente urgenti e gravi si deve dare precedenza a chi ha più possibilità di trarre vantaggio dagli interventi. Non incide solo l'età. Non è medicina selettiva.
L'etica e l'esperienza aiutano di fronte a questi dilemmi laceranti di fronte ai quali mai nessuno vorrebbe trovarsi mai.
Nella pandemia non si dibatteva in termini teorici. Non era così facile. Si avevano davanti esseri umani che provavano con tutte le loro forze a respirare e non ci riuscivano.
Si poteva fare meglio? Un'ambulanza o un respiratore potevano arrivare prima?
Questa domanda ha senso, valutando a posteriori, perché correggere eventuali manchevolezze possa essere utile nelle emergenze future e anche per dovere di trasparenza nei confronti dei parenti dei deceduti. Se errori ci sono stati, in corsia o nelle stanze del potere, vanno scoperti per non essere ripetuti mai più. Se affioreranno responsabilità, o peggio, se sono stati commessi reati ,toccherà alla giustizia valutarlo.
Attenzione però a non far sentire sotto processo da parte dell'opinione pubblica, oggi meno spaventata, quelli che ieri erano i “nostri angeli” in camice bianco, dimenticando che gli anziani sono stati ammazzati da un'epidemia. Guai a noi se i sanitari dovessero rifugiarsi nella “medicina difensiva”, quella che rifugge le scelte a rischio contenzioso. Non decidere, in qualche caso, condanna a morte.
Ora non è ancora finita, dobbiamo saperlo. Le rappresentanze dei pensionati italiani, e anche la nostra, nei prossimi mesi dovranno vigilare perché i diritti degli anziani di accesso alle cure e al vaccino non appena disponibile siano salvaguardati.
Significa anche fare luce sul trattamento riservato nelle case di riposo e nelle Rsa, sulle quali la sorveglianza delle autorità civili va mantenuta alta e che devono essere sottoposte e rigide procedure di accreditamento.
Ad essere ospitati in quelle strutture sono in larga parte soggetti non autosufficienti. Bisogna fare il possibile perché gli anziani possano evitare o posticipare l'istituzionalizzazione potenziando medicina territoriale e assistenza domiciliare integrata.