26/02/2020

INPGI 2020: riparte il forum Ungp. La parola ai pensionati eletti e ai Consiglieri nazionali


Con l’elezione dei nuovi Organi collegiali dell’Inpgi si è aperta una nuova stagione del nostro Istituto di Previdenza, con tutte le implicazioni che verranno a incidere sulla vita associativa di tutti noi, colleghe e colleghi pensionati. Entro un mese verrà completata la dirigenza dell’Istituto: elezione del Consiglio di Amministrazione, del Presidente, del Vice presidente vicario; integrazione degli eletti nella Gestione separata. Sarà un mese di riflessione, di confronti, di negoziati, nella consapevolezza che il tempo stringe, perché entro la fine di giugno dovrà prendere corpo il futuro del nostro Istituto. La trattativa col Governo non si è interrotta, e sarà compito della nuova governance dell’INPGI arrivare a una definizione degli obiettivi da raggiungere. Per noi pensionati, l’autonomia dell’Istituto è un bene da difendere, e per ottenere questo risultato abbiamo anche sopportato sacrifici. L’unità della categoria, la massima unità possibile, è altrettanto importante, perché dà forza alle nostre idee e alle nostre proposte e ci rende più credibili di fronte ai nostri interlocutori.

Abbiamo pensato, come Unione pensionati, di occupare il mese che ci aspetta prima della riunione del nuovo Consiglio generale, dando voce a tutte le colleghe e i colleghi eletti dagli iscritti negli Organi collegiali. A tutti rivolgiamo un cordiale invito a presentare le loro idee in una tribuna pubblica che si collega a quella aperta prima del voto e che è ancora consultabile su questo sito. Interverranno anche i Consiglieri nazionali dell’Unione pensionati e i componenti dell’Esecutivo nazionale, che rispecchiano le opinioni dei nostri iscritti nei Gruppi regionali. Nella prima riunione del Consiglio nazionale Ungp, dopo l’insediamento della nuova dirigenza dell’Istituto, trarremo le fila di questo dialogo a più voci in un documento che presenteremo alla Fnsi e all’Inpgi.

Pubblichiamo di seguito gli interventi nell’ordine in cui ci perverranno, auspicando un confronto di idee utile e costruttivo.

GIAN FULVIO BRUSCHETTI, Vicepresidente Ungp, Presidente del Gruppo lombardo

L’impegno comune che ci viene richiesto di questi tempi per combattere il Coronavirus, anche attraverso comportamenti che modifichino il nostro stile di vita, va nella direzione auspicata di un “patto intergenerazionale” che ci coinvolge come cittadini e persone responsabili della nostra e dell’altrui salute. Lo stesso atteggiamento ci deve coinvolgere come colleghi sul piano dello sforzo che tutti assieme, giovani e pensionati, dobbiamo fare per la sopravvivenza del nostro Istituto di previdenza. Solo attraverso un “patto” che ci unisca, si raggiungerà questo obiettivo e non ciò che ci divide come le sterili polemiche tra gruppi contrapposti, che anche dopo le elezioni di febbraio, purtroppo, continuano. L’impegno comune di tutta la categoria “per il risanamento, l’autonomia e la sostenibilità dei conti dell’Inpgi”, come richiesto dall’Ungp nel Consiglio nazionale del 13 dicembre dello scorso anno, è basilare per evitare una crisi che porterebbe l’Istituto verso una fine che tutti noi non vogliamo.

L’appello che facciamo perciò ai consiglieri eletti e ai futuri amministratori, è quello di mettersi tutti alla stanga e tirare in un’unica direzione assieme alle istituzioni governative e ai nostri organismi di categoria. In questo impegno comune devono giocare un ruolo attivo anche gli editori che sono nostri “partners” nella gestione dell’Istituto. Dobbiamo incalzarli perché non debbono sottrarsi a questo dovere, nella consapevolezza che salvare l’Inpgi non è solo compito dei giornalisti per garantirsi la continuità del proprio “welfare”, ma è una precisa volontà comune per manifestare indipendenza e autonomia della professione e dare continuità alla intera filiera editoriale.

Gli interventi legislativi varati per evitare il commissariamento e l’ipotetico allargamento della platea contributiva ai comunicatori, da soli non sono garanzia di sopravvivenza. Occorre anche bloccare la politica dei prepensionamenti fin qui perseguita dalle aziende editoriali e rivedere il sistema degli ammortizzatori sociali che negli ultimi anni hanno dissanguato i conti dell’Inpgi. E con interventi strutturali che vadano nella direzione di riequilibrare il meccanismo dei costi e dei ricavi che associati ad altri di natura politica, si potrà consentire un ricambio generazionale che non pesi unicamente sul bilancio dell’Istituto per poter contemporaneamente avviare quella fase virtuosa che crei le premesse del risanamento.

Solamente nuovi posti di lavoro che compensino la perdita registrata lo scorso anno ci daranno la conferma della inversione di tendenza avviata per l’uscita dalla fase emergenziale. Con il raggiungimento di questi obiettivi si appagheranno così anche i sacrifici sostenuti negli ultimi decenni da attivi e pensionati, uniti nello sforzo di contribuire a realizzare un progetto di autoriforma per evitare l’aggravamento della situazione.

L’Unione Nazionale Giornalisti Pensionati darà come sempre il suo contributo, in sintonia con tutti gli organismi preposti della categoria, perché in concorso con i nuovi dirigenti si lavori nella direzione che porti, in un futuro non troppo lontano, ad intravvedere la luce della fine del tunnel, dopo gli anni bui di questa lunga crisi dell’editoria.


GIUSEPPE SGAMBELLONE, Consigliere nazionale Ungp, Presidente del Gruppo Trentino Alto Adige

Senza lavoro non c'è previdenza. Non uno slogan vuoto, la campagna elettorale è finita per tutti, ma l'indispensabile base per il rilancio e la salvezza dell'Inpgi. I risultati del voto, anche nel collegio nazionale dei pensionati, testimoniano la consapevolezza dell'estrema difficoltà del momento ma pure la fiducia nel gruppo dirigente che ha lavorato in questi ultimi anni per difendere e rafforzare l'autonomia dell'Istituto. Anticipare l'ingresso dei comunicatori - che la legge già fissa al 2023 - è  fondamentale ma, senza nuova occupazione e migliori condizioni retributive per chi un lavoro già ce l'ha, non andremo lontano. E, di conseguenza, o ci salviamo insieme (attivi e pensionati) oppure andremo tutti a fondo.

Fatta questa doverosa premessa, voglio entrare nel merito di una questione delicata come la ex fissa, cavallo di battaglia (vincente, bisogna ammetterlo) di un comitato che ha conquistato diversi posti nel Consiglio Generale e probabilmente entrerà anche nel futuro cda. E' la conquista del Palazzo d'Inverno? Ho molti dubbi in proposito. Ho sempre sostenuto che ricorsi legali, esposti giudiziari, pec in quantità industriale, sono percorsi legittimi ma che non hanno portato sinora praticamente a nulla perché il bersaglio, l'Inpgi appunto, non era quello giusto. In questa vicenda, beninteso, nessuno può dirsi esente da colpe a cominciare dalle parti sociali Fieg e Fnsi che hanno dato vita e perpetuato un fondo destinato in partenza - per come hanno scritto il regolamento - al default. Il danno lo stiamo pagando noi, ultime generazioni di pensionati.

Soluzioni miracolistiche non ne esistono anche disegnando nuovi conteggi basati sulla contribuzione individuale. La verità è purtroppo molto semplice: non ci sono i soldi per pagare l'ex fissa in toto sia pure spalmata in 15 anni, per liquidare il 50% in tempi più brevi (un'ipotesi che ho avallato e sottoscritto) e neppure per onorare ogni anno la rata individuale. Il famoso 1,50% che gli editori versano regolarmente basta appena per la cosiddetta rata di garanzia: 3.000 euro lordi all'anno. La collega Paola Cascella, membro uscente del cda Inpgi e rieletta nel Consiglio Generale, nel corso dell'incontro organizzato dall'Ungp a Roma con tutti i candidati pensionati, ha ipotizzato che il prestito di 14 milioni alla Fieg, varato con una delibera del cda del maggio 2018 poi sostanzialmente bocciata dai ministeri vigilanti, può essere ricondotto in capo all'Inpgi2 che non ha problemi di liquidità e che farebbe un investimento molto redditizio, visto il tasso di interesse del 4,60%. Non ho la competenza per valutare la legittimità giuridica dell'operazione (egoisticamente sarei contento se si realizzasse) ma politicamente mi pare poco sostenibile. In pratica i precari, le false partite Iva, i giovani sfruttati a 5 euro il pezzo, che se mai vedranno la pensione incasseranno 1.000 euro all'anno, dovrebbero finanziare - con i loro contributi previdenziali - una sorta di seconda liquidazione per pensionati i cui assegni medi si aggirano sui 60.000 euro all'anno. Uno scontro generazionale che sarebbe meglio evitare.

Per evitare equivoci ribadisco che la ex fissa è un istituto contrattuale e come tale va onorato. Nessuno ha rubato nulla in passato e nessuno ruberà – eventualmente – nulla in futuro. Come Ungp, d'intesa anche con i pensionati eletti nei diversi organismi di categoria, dobbiamo continuare a batterci per una soluzione chiara ed equa stanando anche gli editori (possibile che la Fieg non riesca a trovare risorse all'interno del proprio bilancio o a garantire in prima persona un prestito sul mercato finanziario?).

Un'ultima considerazione. Mi auguro che tutti gli eletti all'Inpgi si impegnino concretamente per dire basta ai pensionati che si sostituiscono ai redattori nel lavoro giornaliero. Un autentico scandalo, a esclusivo vantaggio degli editori, che uccide anche la speranza dei giovani di inserirsi nel mondo dell'informazione. E senza nuovi posti di lavoro non ci sarà previdenza nemmeno per noi pensionati, ormai i "nuovi garantiti” fra i giornalisti.


ROMANO BARTOLONI, Consigliere generale Inpgi, presidente del Gruppo romano Ungp 

Salvare la professione per salvare le pensioni e un Inpgi dissanguato dalla decennale espulsione dal lavoro e dalle redazioni di generazioni di valorosi giornalisti, mandati in pensione nel pieno della maturità professionale e che avevano arricchito con i loro contributi le casse della nostra previdenza.

Intanto, un grazie di tutto cuore ad uno ad uno dei quasi mille colleghi pensionati (948) che hanno contribuito al mio successo elettorale nelle votazioni per l’Inpgi, facendomi arrivare secondo su scala nazionale a ruota delle due colleghe prime alla pari con 974 voti. Assicuro un doveroso impegno nei confronti di questi elettori ma anche di tutti gli altri colleghi che trepidano per le loro pensioni e si aspettano una difesa dei loro sacrosanti diritti a spada tratta, a oltranza e senza risparmi di energie. 

Per la prima volta, tra i 10 pensionati eletti si è realizzata una parità di schieramenti, 5 a 5 tra i pro e i contro un radicale cambiamento nel governo dell’Inpgi.

Poiché, purtroppo, i risultati non cambiano sostanzialmente rispetto alla scorsa volta del 2016, alla guida dell'Inpgi rimarranno probabilmente i soliti noti compromessi con le disastrose gestioni passate, ma gli abbiano assestato un forte scossone di cui dovranno tenerne conto. 

In questa epoca di rivoluzione tecnologica e di comunicazione digitale, il giornalismo assediato da poteri prepotenti e maldifeso dal suo stesso Sindacato rischia la resa dei conti senza condizioni al fenomeno pestilenziale del precariato dilagante sotto le picconate di un mondo editoriale che, invece, di mettersi al passo con i tempi e con le nuove sfide industriali, si illude di salvare la pelle smantellando le migliori energie professionali in barba e a disprezzo della qualità dell’informazione. Diventa follia suicida restare alla finestra a guardare la grande vetrina interattiva e le possibilità dei nuovi mercati senza entrarci dentro con la forza dei valori, della professionalità e dell’autorevolezza di un giornalismo anti fakenews. La concorrenza degli influencer non è imbattibile e tantissimi follower si possono conquistare se si accetta la competizione online senza arroganza da primi della classe.

Primo atto fondamentale per salvare l’Inpgi è quello di respingere al mittente il disegno delittuoso ordito con legge del governo per una raffica di un migliaio di nuovi prepensionamenti da oggi al 2027 (un attacco alla Cassa e ai giornalisti con una perdita di contributi di 4,5 milioni all’anno. Uno spreco di denaro pubblico per affondare l’Istituto in perversa continuità di applicazione della legge 416 degli anni ‘80 dello scorso secolo che dal 2009 ai nostri giorni ha sterminato migliaia e migliaia di giornalisti ancora in gamba senza rimpiazzi ma mal sostituiti da un precariato sfruttato e sottopagato. Quasi tutte crisi aziendali fittizie pagate dallo Stato per soccorrere un’editoria incapace di ammodernarsi. Un genocidio che ha sacrificato le migliori energie raddoppiando il numero dei pensionati che, con la valanga di nuovi prepensionamenti, sfonderà abbondantemente il tetto dei 10mila a carico delle casse Inpgi (un tetto quasi raggiunto oggi con 9.571 compresi i superstiti contro i 14.875 in attività, 18mila solo 5 anni fa, e di questo passo destinati a diminuire ancora e vistosamente). Un colpo mortale alla professione e alla sua identità culturale e sociale e un attentato scientifico al diritto dei cittadini di essere correttamente informati. 

Ora, però, ci sono le condizioni per bloccare la corsa ai prepensionamenti. In sintonia, con le straordinarie misure economiche del governo per fronteggiare l’emergenza provocata dall’epidemia virale, diventa un’operazione possibile congelare gli effetti della legge di bilancio sui nuovi prepensionamenti programmati a partire da questo anno e già minacciati in diverse testate giornalistiche.

Perché altrimenti per i giornalisti pensionati sarebbe un nuovo grosso sacrificio carico di amarezze e umiliazioni in testa a una serie di sacrifici sempre più pesanti offerti a sostegno dell’Inpgi, dalla mancata perequazione ai prelievi forzosi ai limiti della legalità, il tutto per oltre 45 milioni negli ultimi anni. Sacrifici per la perdita del 25% del potere di acquisto ridimensionato da un carofisco senza sconti per gli anziani come negli altri Paesi. Sacrifici di una vita di grossi contributi previdenziali per costruire un ricco patrimonio immobiliare in via di dilapidazione per tappare buchi ultramilionari. Fino a 10 anni di sacrifici, mortificazioni danni e disagi per 2200 colleghi creditori della loro liquidazione previdenziale dell’ex Fissa fra promesse e ripensamenti con la vana caccia a un un debitore fantasma nascosto in casa Inpgi. Sacrifici esistenziali di un’identità di prestigio faticosamente costruita negli anni a causa della truffa della disintermediazione e del fai da te dell’informazione nella quale guazza il sistema dei poteri. Sacrifici ingiusti e intollerabili di fronte ai vergognosi esempi di amministratori Inpgi che restano una mai ridimensionata pletorica casta dirigenziale e che non intendono rinunciare nemmeno a una fetta dei loro pingui emolumenti. 

Da parte nostra va severamente condannata la prostituzione di colleghi pensionati ai ricatti degli editori.


SILVIA GARAMBOIS, Consigliera generale Inpgi

Il voto ha dato a tutte noi elette e eletti nuova responsabilità. Grazie a quanti mi hanno dato fiducia: davvero, grazie. Per alcune settimane ancora non verranno definiti i nuovi organi di gestione dell’Istituto, che saranno al voto al primo Consiglio generale. Ma già ora le linee di lavoro sono tracciate per mettere in sicurezza l’Inpgi, garantire le pensioni e insieme le tutele per la parte più fragile della categoria.  

Siamo arrivati alle elezioni sull'abbrivio di alcune importantissime conquiste: prima fra tutte si è aperto il tavolo governativo per l'Inpgi, dove siedono il premier Conte e il sottosegretario all'editoria Andrea Martella insieme ai vertici politici e tecnici del nostro Istituto. Si è aperto "bene": abbiamo consapevolezza che ai nostri interlocutori è ora chiaro come l'Inpgi non abbia problemi di inefficienza di struttura (al contrario), ma quanto si scarichi e si sia scaricata esclusivamente sulle nostre casse la pesantissima crisi dell'editoria di questi anni. 

L'allargamento della platea ai comunicatori, prevista per legge dal 2023 e della quale noi chiediamo un anticipo all'anno prossimo, o almeno l'avvio del processo di trasferimento da Inps a Inpgi, è oggetto di discussione anche di un altro tavolo ministeriale, a cui siedono tutti i rappresentanti dei soggetti coinvolti. 

Non secondaria poi la sentenza della Magistratura che definisce corrette le procedure della gestione immobiliare dell'Inpgi, dopo aver impegnato la Guardia di Finanza in un controllo accurato: questo serve se non altro a fugare le ombre di malagestione di cui eravamo accusati in campagna elettorale. C'è da lavorare sul tema immobiliare, particolarmente sentito a Roma, dove vive la maggior parte degli inquilini giornalisti, ma con maggiore serenità.

Ho dichiarato all’assemblea dell’Ungp che la massima informazione, soprattutto in una fase così delicata per l’Istituto, è irrinunciabile: una promessa che intendo rispettare fino in fondo, sicura che solo la condivisione dei problemi e delle possibili soluzioni ci permetterà di superare i momenti più difficili. 


SAVINO CUTRO, Sindaco Inpgi

La guerra all’Inpgi e, con esso a chi finora ha gestito l’istituto, è finita?

Lo speriamo dopo una campagna elettorale al vetriolo (in parte fisiologico) che ha provato, attraverso componenti della minoranza, a screditare l’attuale dirigenza dell’istituto, addossando ad essa la responsabilità della difficile situazione che si registra.

Purtroppo per loro, hanno sbagliato interlocutore o meglio hanno sbagliato volutamente l’analisi fatta che è alquanto strumentale.

Il giornalismo italiano continua a perdere “pezzi”, con molti colleghi che rimangono senza lavoro, con una platea che si riduce sensibilmente.

Con essa si sono ridotti e continuano a ridursi i contributi da versare all’Inpgi. Questo è il problema vero.

Dal 2013 ad oggi è stato perso il 15% dei posti di lavoro, con nuovi pensionati non sostituiti; con alcuni di loro che continuano a lavorare nelle testate, occupando posti che dovrebbero andare a giovani colleghi. Anche queste cose dobbiamo dircele.

Ignorare questa situazione confermerebbe una miopia politica, una incapacità di analisi che possiamo giustificare solo nel clima infuocato della campagna elettorale.

Ma le urne ormai sono chiuse. I colleghi hanno confermato fiducia alla maggioranza (rinforzandola) che ha gestito l’istituto, riconoscendo capacità gestionale alla presidente Macelloni, al direttore Iorio e a tutti coloro, componenti di organismi statutari, che hanno avuto in questi anni la responsabilità di guidare l’istituto in un mare sempre più agitato.

Ma la bussola indica la rotta da seguire: fare squadra – come ha ripetuto spesso la presidente Macelloni – per ottenere dal Governo l’indispensabile sostegno all’editoria sempre più in crisi. Il tavolo tecnico che si è aperto proprio con il Governo grazie – bisogna dirlo - alle sollecitazioni giunte da Inpgi e Fnsi -  deve essere il luogo ideale dove confrontarsi, portare proposte credibili e “insieme” sostenerle.

Certo, i nemici non sono solo in qualche partito che ha tentato di tutto per distruggere, non l’Inpgi, ma l’intera categoria. I nemici li abbiamo anche tra di noi. La strategia di questi ultimi, oltre ad essere perdente, indebolisce, agli occhi della controparte, la categoria.

Non si può incontrare a titolo personale il presidente dell’Inps per convincerlo ad ostacolare l’ingresso dei comunicatori nell’Inpgi. Scorrettezza pura e, ci sia consentito, incapacità di capire il danno che si produce.

Per fortuna la legge che prevede l’ingresso dei comunicatori (una conquista frutto dell’impegno della dirigenza dell’Inpgi) è stata approvata. Si sta cercando soltanto di far anticipare l’entrata in vigore.

Certo questo non basta. Ne siamo convinti. Bisogna mettere mano ad un’altra riforma entro giugno per mettere al sicuro l’istituto.

La capacità gestionale dimostrata in questi anni dalla squadra diretta da Marina Macelloni è una garanzia per l futuro, non foss’altro perché credibile come confermato dal risultato elettorale.

Il dibattito è comunque aperto. Un contributo costruttivo daranno certamente anche i rappresentanti della minoranza eletti, ai quali va il nostro augurio, sicuri che l’invito a fare squadra non sarà da loro respinto.

In bocca al lupo a tutti e auguri a chi è chiamato a guidare per i prossimi anni l’Inpgi. 

Savino Cutro


GIUSEPPE MAZZARINO, Sindaco supplente Inpgi

Un giornalista che non ha certezze sul proprio futuro, oltre che sul proprio reddito, non è un giornalista libero. Questo vale, ovviamente, per ogni professionista e per ogni lavoratore e per ogni persona. Ma ci sono alcune categorie di lavoratori che, maneggiando strumenti pericolosissimi per il loro impatto sociale, e non solo (esempi molto terra terra: i medici, i piloti d’aereo, i magistrati e gli avvocati, e via seguitando…), se non sono messe in condizione di lavorare con libertà ed almeno relativa serenità creano un danno terribile alla società. I giornalisti sono tra queste.

La messa in sicurezza dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) non riguarda, quindi, solo la sicurezza sociale di un certo numero di lavoratori e delle loro famiglie, ma riguarda la qualità dell’informazione e della democrazia.

Perché l’Inpgi è in pericolo? Non certo per “colpa” o demerito dei giornalisti o del personale dell’Istituto (che è di altissimo livello ed è sempre stato di grande disponibilità nei confronti di chiunque avesse bisogno di informazioni o chiarimenti). A meno di non ritenere una “colpa”, come sostenevano gli ineffabili Fornero Elsa in Deaglio, Mastrapasqua e Boeri, quella di voler vivere qualche mese in più oltre l’età della pensione… In Italia gli ultimi dati Istat danno una aspettativa di vita media di 82 anni e mezzo. L’aspettativa di vita dei giornalisti è più bassa. Quella della media mondiale, secondo i dati che ho frettolosamente rintracciato, è di circa 70 anni. Comunque troppi, per certi presidenti dell’Inps e certi ministri contro il Lavoro.

L’Inpgi è in pericolo perché, in presenza di un allungamento della vita media, si sono verificate tre circostanze negative: un fortissimo aumento dei prepensionamenti, effettuato da editori disinvolti anche in presenza di bilanci più che attivi (e non parliamo di quelli mandati a picco da editori incapaci e da manager truffaldini), che fa aumentare la spesa per le pensioni e fa contemporaneamente diminuire i contributi versati all’Inpgi; la forte diminuzione del numero di giornalisti contrattualizzati (grazie anche a leggi indecenti che hanno destrutturato il diritto del lavoro e reso legale lo sfruttamento selvaggio del precariato), con riduzione della platea contributiva; la perdita di valore reale delle retribuzioni dei giornalisti contrattualizzati e la sterilizzazione di tutti i meccanismi di adeguamento salariale.

A carico dell’Inpgi, inoltre, ci sono costi per prestazioni assistenziali, non previdenziali. Come se ne esce? Riportando in carico alla fiscalità generale ed allo Stato l’assistenza, come persino settori politici ostili ai giornalisti ammettono che sia necessario e logico fare.

Ampliando la platea contributiva. Subito. Prima che sia possibile. Cominciando con il passaggio dei “comunicatori” all’Inpgi. Una categoria difficile da definire, d’accordo: E che, stando a talune sue associazioni di riferimento, non particolarmente convinta dell’opportunità di passare nell’Inpgi. Va comunque meglio definita; e poi, se passa all’Inpgi, ci passa per legge.

Basta questo a salvare l’Istituto? No. Aiuta? Sì, certo. Anche per superare un periodo di transizione con “gobba previdenziale” molto oneroso e pericoloso per l’Inpgi. Ma poi bisognerà pagare anche le pensioni dei comunicatori, obietta qualcuno. Certamente, ma, come per i giornalisti assunti ormai negli ultimi decenni, calcolandole col sistema contributivo. Bisognerebbe far entrare questi comunicatori nell’Ordine dei Giornalisti, obietta qualche schizzinoso. Intanto, molti di questi comunicatori esplicano attività molto simili a quelle dei giornalisti (noi ci siamo battuti, mi pare di ricordare, per i giornalisti negli uffici stampa…). Poi, non è affatto “necessario”

Ma come, entrano in una cassa previdenziale professionale senza entrare a far parte di quella professione? Si può, tranquillamente. C’è un precedente autorevole, l’Inarcassa, che è la cassa previdenziale professionale degli Ingegneri e degli Architetti liberi professionisti. Che sono iscritti a due Ordini differenti, anche se hanno un’unica cassa previdenziale.

Poi bisogna contrastare il lavoro precario (facendo una virtuosa e trasparente azione di lobby su Parlamento e Governo) e quello nero, intensificando i controlli e le sanzioni a carico di editori quasi tutti, chi più (molto di più, in certi casi…), chi meno, disinvolti. Una disinvoltura che non è fatta solo di lavoro nero in senso stretto ma anche di sottocontrattualizzazione o di non regolare pagamento (aliquote previdenziali incluse) del lavoro straordinario, notturno, domenicale e festivo.

Per fare questo, e quant’altro si palesi necessario ed utile, occorre una forte unità della categoria: nostra controparte sono gli editori, e purtroppo talvolta (spesso…) il Governo ed il Parlamento, non le aree culturali e/o sindacali del giornalismo.

Uniti, e con forte capacità di immaginare scenari futuri e soluzioni, ed una ancor più forte capacità di interlocuzione con l’esecutivo ed il legislativo.

Altrimenti, per quanto individualmente possano essere capaci, determinati, esperti i nostri amministratori ed i nostri dirigenti e funzionari, siamo morti.
(da giornalistitalia.it)