30/01/2012

Chiodini sul cumulo: “Ho vinto in Cassazione ma ho dovuto ledere la Maestà”

Mi è stato chiesto un commento alla sentenza della Corte di Cassazione che ha messo definitivamente  fine, dandomi ragione, alla mia vertenza con l’Inpgi iniziata troppi anni fa e con un altro consiglio di amministrazione dell’istituto.
Sono soddisfatto, ovviamente. E ora sono finalmente  sereno dopo che questa vicenda mi aveva provocato molto stress e qualche notte agitata. Ma sono – e lo dico senza alcuna demagogia – anche amareggiato perché questa vertenza,  che oltre a notti insonni mi è anche costata decine di migliaia di euro, non avrebbe mai dovuto iniziare


Infatti, bastava applicare il buonsenso prima ancora del diritto per capire e concludere che un istituto (l’Inpgi) che gestisce in sostituzione di un altro istituto (l’Inps) un “servizio”  pubblico (l’Ago, assicurazione generale obbligatoria) non può che farlo osservando in toto ciò che dice e impone la legge. L’Ago è nata con legge dello Stato e prevede che tutti i lavoratori dipendenti  siano obbligati ad assicurarsi, secondo le regole e alle condizioni previste dalla legge stessa e dai successivi aggiornamenti. L’ istituto gestore dell’Ago è l’Inps, con la sola eccezione dell’Ingpi che gestisce – in sostituzione dell’Inps, come dice la sentenza – l’Ago dei giornalisti, lavoratori dipendenti e non liberi professionisti e/o lavoratori autonomi. E i giornalisti dipendenti non possono optare fra Inps e Inpgi ma, obbligatoriamente, debbono aderire a Inpgi in funzione di sostituto dell’Inps.
L’assicurazione generale obbligatoria è nata dallo Stato ed  è regolamentata da leggi via via aggiornate e modificate. Ora, le leggi possono piacere oppure no, possono essere ritenute corrette o inique, a seconda dei punti di vista. Ma sono leggi, si rivolgono a tutta la comunità e vanno rispettate. Anche dall’Inpgi, che gestendo l’Ago per conto dei giornalisti e in sostituzione dell’Inps non può che rispettare, anche nei dettagli, ciò che la legge prevede esattamente come fa l’Inps che l’Inpgi, in questa funzione, sostituisce. Tutti siamo uguali di fronte alla legge sia sul versante dei diritti sia su quello dei doveri.
Il ragionamento mi è sempre sembrato ovvio e scontato, tranne dal momento in cui ho chiesto fosse applicato. Dal quel momento ho trovato un muro, con questa semplice e sbagliata argomentazione: l’Inpgi è un istituto privato, quindi i suoi amministratori “possono” ma non necessariamente “debbono”  attenersi alla legge anche nell’esercizio  di un – chiamiamolo così – servizio pubblico quale quello rappresentato dall’assicurazione generale obbligatoria. Da quel momento divento un nemico che vuole scardinare l’Inpgi e favorire i pensionati che hanno ancora la possibilità di lavorare a scapito dei giovani… Di rubar loro il lavoro.
Niente da fare, nessuno spazio di discussione. Non mi resta che rivolgermi alla Magistratura. Vinco nettamente il primo giudizio e, sempre assistito dall’avv. Patrizia Sordellini e con la supervisione di Franco Abruzzo, vinco nettamente anche il giudizio di appello.
Bene, adesso è finita, penso. In fin dei conti sono un giornalista che chiede l’applicazione di propri diritti (certificati da due sentenze) al proprio istituto previdenziale, guidato da colleghi anch’essi giornalisti che debbono pensare a tutta la categoria. Ovviamente mi sbaglio: con il nemico non si tratta, il conducente non va disturbato, chi osa mettere in dubbio quanto facciamo e come operiamo?
Ed è a questo punto che colgo velate accuse (di chi fa il gioco?, certamente non della categoria), risolini ed esplicite ammissioni: il divieto di cumulo all’Inpgi non cadrà mai, fattene una ragione. Anche se, per la verità, numerosi colleghi cominciano a chiedermi “a che punto è la tua pratica in Cassazione”? Del tipo: vai avanti tu che poi vediamo.
Ciò che mi lascia più perplesso è l’assoluta indifferenza di molti colleghi, l’assoluta rassegnazione proprio da parte di giornalisti che predicano l’applicazione di principi di eguaglianza ed equità e strigliano quasi ogni giorno chi non rispetta la legge dello Stato. E in casa propria?
Il clima, insomma, mi è generalmente (non completamente) non favorevole. Indifferente, se non addirittura ostile. Ostile certamente da parte di chi mi  ritiene colpevole del delitto di Lesa Maestà in quanto ha osato confutare una interpretazione prima ancora di denunciare un illecito e rivolgersi alla Magistratura per ripristinare il diritto violato. Che ha osato dire forse state sbagliando, affrontiamo il problema, un problema che riguarda tutti e non un singolo caso.
E ora, dopo otto anni, la sentenza definitiva della Cassazione. Che dà ragione a me (e a tutti quelli che mi hanno sostenuto oltre che, ovviamente, all’intera categoria) ma, soprattutto impone il ripristino dell’osservanza della Legge, che non può essere disattesa neppure dagli amministratori di un istituto che ritengono privato… E mi chiedo: dov’erano gli amministratori dell’epoca, dov’erano i sindaci, dov’erano i rappresentanti pubblici? Qualcuno dei consiglieri e dei sindaci ha mai alzato un ditino, ha mai fatto un’obiezione? Forse anche loro non volevano essere incolpati di Lesa Maestà.
Una risposta me la sono data. Era prevalente la cultura della mediocrità e della superficialità, condita, in qualche caso, da arrogante protervia. Eh sì, anche fra i giornalisti – per usare figure metaforiche ormai d’uso comune - ci sono gli Scilipoti e i Paniz. E non manca neppure, per completare il quadro, il “Porcellum”, ossia l’attuale regolamento elettorale che vieta  a un pensionato di votare un proprio candidato “attivo” , cioè una persona che stima e di cui ha fiducia, al consiglio di amministrazione o al collegio sindacale. E viceversa. Come se pensionati e “attivi” fossero avversari, portatori di interessi contrapposti nella gestione di un istituto previdenziale che deve guardare all’intera categoria. Nel suo complesso e non a segmenti di essa. Ma, evidentemente, la ratio è un’ altra e il “divide et impera” può servire allo scopo.

Ezio Chiodini