22/10/2018

Autoriforma dell’Ordine sotto cattiva stella


L’autoriforma varata dal CN dell’Ordine nasce sotto la cattiva stella dell’ultimatum del Governo che preferirebbe abolirlo. Sfida la rivoluzione elettronica del digitale che ha stravolto i confini fra informazione e comunicazione. Si scontra con l’arroganza dei poteri che hanno scoperto come aggirare la mediazione giornalistica con il fai da te della notizia preconfezionata e in sintonia diretta con il pubblico tramite i social, Twitter, YouTube ecc. Confligge con il contratto giornalistico tuttora in vigore nonostante sia stato ridotto carta straccia dagli editori. Mentre il governo con il sottosegretario all’editoria Crimi minaccia di stringere i tempi sui destini della categoria, il progetto messo in campo è destinato a viaggiare sotto le forche caudine di una lunga procedura politica burocratica: il Dipartimento per l’editoria, il Governo, il Parlamento. L’autoriforma ratifica di fatto e definitamente la fine della figura del cronista che si faceva le ossa per strada, che coltivava il mestiere e accumulava esperienza in mezzo alla gente a stretto gomito con i fatti, e testimoniava in presa diretta gli avvenimenti. Pare ormai totalmente sostituito dalla figura del navigatore solitario in internet, costretto a raccogliere per buono, a volte accettare per oro colato, quello che passa il mondo del digitale. Scompaiono con l’autoriforma i giornalisti tout court, a tu per tu con la notizia in forza dell’art. 2 della legge ordinistica “sul diritto insopprimibile della libertà di informazione e di critica”, anche se codificati da un decrepito albo, e si erge al loro posto un astratto concetto di giornalismo probabilmente concepito per abbracciare l’universo e variegato mondo della comunicazione. E che viene definito nel nuovo vocabolario dell’Odg del giornalismo (così l’acronimo) e non più dei giornalisti, niente di meno che “un’istituzione deputata per legge a garantire il diritto dei cittadini ad essere informati nel rispetto dell’art. 21 della Costituzione”. Perché finora i giornalisti che hanno fatto? Non sono forse vissuti di informazione? Leggere “Un secolo di giornalismo italiano” di Giancarlo Tartaglia direttore della Fnsi. Si elimina il praticantato dentro le testate, mass-media, perché “i luoghi di lavoro che un tempo erano navi scuola non ci sono più e noi vogliamo -spiega il presidente dell’Odg Carlo Verna- evitare lo sfruttamento”. La fabbrica di disoccupati emigra! Gli eredi dei giornalisti vecchia maniera si alleveranno esclusivamente sotto la mano dei baroni universitari e si formeranno frequentando “un corso annuale di pratica da attuarsi (a pagamento?) in scuole ad hoc (pubbliche, private o tutte e due le specie?) di intesa con l’Ordine”. Porte spalancate per i figli di papà. Paradossalmente la rigorosa trafila degli aspiranti pubblicisti si ispira ai criteri in voga per i professionisti ante avvento dell’Odg (1963), quando si accedeva all’albo tenuto da una speciale commissione presso il ministero della Giustizia con una certificazione del direttore responsabile (per una attività nelle navi scuole come ai vecchi tempi?) e la iscrizione a un ente previdenziale (allora l’Inps). In attesa di una vaga promessa di albo unico, i pubblicisti diventeranno i veri giornalisti in campo aperto, mentre i medagliati di lauree, master ecc. saranno tutti promossi editorialisti. Con la testa al governo dell’accesso a tempo pieno e con la speranza di riconquistare il terreno perduto nella sfera della deontologia, l’Ordine, maggioranza parlamentare permettendolo, confida di riprendersi il suo posto al sole dopo la lunga decadenza.

Romano Bartoloni